Il mio modo di celebrare la festa dell’otto marzo è cambiato in riferimento alle fasi della mia vita di donna. Nell’età della giovinezza consideravo questa festa memoria di coloro che avevano lottato “per noi donne”. Avvertivo la disparità di genere, ma la consideravo una sorta di “protezione”, ovvero il retaggio culturale di una comunità non pronta alle ragazzine degli anni ’80 che cantavano i successi di Cyndi Lauper. Ci sentivamo pronte a scardinare convenzioni, ma molto lontane dalle vere rivoluzioni femministe, come quella coraggiosa di Franca Viola. Varcato l’ambiente universitario ho colto un diverso modo di affrontare la differenza di genere.
L’uguaglianza tra i sessi era certamente proclamata in maniera formale, ma non appena le competizioni dialettiche – nei gruppi misti – raggiungevano livelli di acceso dibattito su materie di diritto, ecco che l’uguaglianza sostanziale veniva messa in discussione. I successi delle giovani donne di bell’aspetto erano, poi, argomento per facili “allusioni”. L’otto marzo negli anni ’90 era impegno civico delle donne che volevano cambiare il volto della Sicilia sull’esempio di Felicia Impastato. L’Agesci mi ha insegnato la coeducazione, metodo pedagogico che valorizza le differenze ed educa alla relazione e al rispetto tra ragazze e ragazzi.
Allo scoutismo devo la mia capacità di non arretrare davanti a una difficoltà, un cammino in salita. L’otto marzo da capo scout si fa impegno personale a fare del proprio meglio. Nonostante l’impegno quotidiano nelle battaglie verso il qualunquismo di chi sminuisce le pretese femministe, con chi ti appella dottoressa, mentre il collega è avvocato, con chi definisce l’abbandono delle buone maniere maschili come “esito” della conquista della parità di genere, ci. che mi fa arrabbiare è pensare alle giovani donne a cui, per lavoro, viene “chiesto” di non avere figli, di tenere il passo degli uomini a orari di riunioni impossibili, di accondiscendere a un complimento spinto.
Ciò che mi angoscia veramente sono le donne che devono affrettare il passo la sera per rientrare a casa, quelle che devono guardarsi intorno mentre corrono nei parchi e mamme che chiedono se le figlie sono al sicuro. ecco che l’otto marzo, nel XXI secolo, diventa consapevolezza che le conquiste sulla parità di genere passano attraverso le azioni corali di donne e uomini che urlano contro le violenze sulle donne. Ti accorgi, infatti, che il genus femminile è prezioso anche a uomini coraggiosi come Junaid Hafeez, insegnante pakistano condannato all’impiccagione per avere insegnato i diritti delle donne, e ti riprometti che le donne torturate, violate, ridotte in schiavitù e uccise devono essere affar tuo; “I care” diceva don Milani.
Consentire alle bambine di accedere a sistemi educativi validi e a tutte le professioni significa cambiare il Mondo (es. M. Curie, Katherine Johnson), liberare ragazzine dalla prigionia di cliché familiari che le vogliono assoggettate, significa a volte salvare vite. È incontrovertibile che le donne nella vita politica del Paese debbano avere l’impegno di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’uguaglianza di genere e dare voce alle vittime di violenza. In politica l’impegno delle donne dovrebbe sganciarsi da logiche di contingentamento (come le quote rosa) che, in certi casi, finiscono per mortificare competenza ed esperienza professionale e “utilizzare” l’essere donna per “arredare” le competizioni elettorali. e se, come diceva Paolo VI, «la politica è la forma più alta della carità», le donne in politica, guidate dalla carità, sapranno porre in essere azioni importanti di pace e benessere comune.
In maniera provocatoria direi che spesso abbiamo delegato la soddisfazione dei nostri bisogni personali e familiari a chi non aveva soluzioni adeguate. Abbiamo ritenuto che il welfare delle donne lavoratrici fosse un programma di “assistenza” per meno forti. Abbiamo accettato che per essere “altrettanto brave” dovevamo fare mille volte meglio lo stesso lavoro. Abbiamo reso intollerabile la mediocrità delle donne nel mondo del lavoro, ma abbiamo accettato quella degli uomini come una realtà ineluttabile. Abbiamo pensato che essere madri, mogli e lavoratrici in maniera simultanea fosse un comportamento da supereroi e questo ci ha gratificato. Su questo risuonano le voci delle donne che chiedono un mondo che le guardi con un sorriso gentile. Ci interpellano le voci dei nonni che devono crescere i figli di figlie strappate alla vita da mani violente, ci inorridiscono le piaghe delle donne che non hanno più volto, ci addolorano le bimbe sfruttate da mercanti del sesso. Ecco che l’otto marzo si trasforma nel giorno della memoria di donne straordinarie, di riflessione su quanto ancora dobbiamo fare e sull’impegno concreto per liberare chi è assoggettata a ogni tipo di schiavitù.
Andreana Patti per Condividere