Paolo VI, Papa dell’amicizia, costruì un suo respiro d’anima dentro e a sostegno del servizio ecclesiale, una propria cella interiore, un vivere secum, come esperienza della comunione dei santi e spirito umile del servizio. L’umiltà diventa terra spirituale, terra santa, terra promessa, dove vivere e condurre il servizio petrino. «Sono nell’appartamento pontificio; impressione profonda, di disagio e di confidenza insieme. […] No, non che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente. La Chiesa qual è. Quale sforzo! Per amare così bisogna passare per il tramite dell’amore di Cristo. Mi ami? Pasci. O Cristo, o Cristo! […] Coscienza di servo obbligato a grandi cose».
Papa del Concilio Vaticano II, segnato da attese e difficoltà, da speranze realizzate e promesse negate, Montini chiuse il Concilio il 7 dicembre 1965. Con un intenso discorso nel quale parlò di una Chiesa samaritana, serva dell’umanità. Egli visse gli anni difficili del post Concilio, gli anni delle contestazioni culturali, sociali e anche ecclesiali, della guerra del Vietnam, gli anni dei cambiamenti tecnologici, il primo sbarco sulla Luna, il dramma italiano delle brigate rosse, nel mondo ecclesiale la sfida latinoamericana della teologia della liberazione, la discussione della fede del Catechismo olandese, la crisi del celibato, la frattura liturgica con i tradizionalisti, il travaglio di una morale cattolica ancorata alla legge naturale e ai suoi principi.
Fu il Papa dei primi viaggi apostolici, il primo a tornare in Terra Santa, il primo che intervenne all’ONU, il primo a dover coniugare la cattolicità con la mondialità. Rinunciò alla tiara, abbracciò il patriarca Atenagora in Terra Santa, baciò i piedi nella Cappella Sistina al Metropolita Ortodosso di Calcedonia Melitone. Muovendo così passi storici di ecumenismo.
Sempre con le mani tese a incontrare, a salutare, a raggiungere, ad amare. Baciava la terra dove arrivava, dando cosi ai gesti il valore dell’incarnazione. Un Papa interprete, in gesti e parole, dei drammi della modernità con un altissimo senso della coscienza storica e della coscienza morale, che cercò Cristo tutta la vita e amò profondamente la Chiesa, e volle sempre raggiungere e venire a dialogo con gli uomini e le donne del suo tempo. Forse l’aggettivo umano è quello che rende meglio il desiderio universale di questo uomo, di questo Papa, di mettere in dialogo ogni autentico discorso umano con il Vangelo di Cristo.
L’incarnazione, il dialogo, la costruzione di ponti tra Vangelo e cultura, la difesa dei popoli poveri, la custodia della fede e della vita, sono le chiavi con cui il Pietro della modernità ha cercato di legare e sciogliere le cose degli uomini e di Dio, cosi come il Maestro di Nazareth ha chiesto nel Vangelo a Pietro e ai suoi successori. Ha chiesto a Scorcelli, artista e medico, di scolpirgli un Cristo distrutto dalla sofferenza, ed è questa la sua croce pastorale.
Interpretò la missione di Pietro come avvocato dei popoli poveri, il suo magistero come esercizio di una paternità universale e come servizio alla carità e allo sviluppo integrale dei popoli.
don Vito Impellizzeri per Condividere