La più antica rappresentazione della nascita di Cristo si trova a Roma: risale al III secolo ed è conservata nelle catacombe di Priscilla. Visitandola, pochi giorni fa, ho immaginato un presepio, o natività, posta davanti al penitenziario di massima sicurezza siriano, a Saydanaya. Questa località è stata uno dei luoghi più antichi di pellegrinaggio cristiano dai primi secoli della nostra era, secondo soltanto a Gerusalemme e Betlemme. Costruito nel VI secolo, il locale convento ospita un’icona della Vergine Maria attribuita a San Luca. È stato così fino al secolo scorso, quando il regime degli Assad vi ha costruito un gigantesco luogo di tortura e sevizie, il più grave oltraggio verso tutto il cristianesimo, non solo mediorientale. Cosa ci fosse dentro quel mostro di distruzione dell’uomo da mezzo secolo lo abbiamo visto solo ora. Da quel penitenziario, per anni, sono partite colonne di camion con celle frigorifere che hanno riempito negli spazi desertici un numero ancora non definito di fosse comuni scavate prima soltanto a un metro di profondità, poi, per i vari problemi che si possono immaginare, a tre metri. Una di esse conterebbe 150mila corpi, forse 200mila, gettati dentro dopo aver atteso il tempo necessario perché i corpi si scollassero l’uno dall’altro, erano troppi in ciascuna cella frigorifera. Quello che ho preso a immaginare alle catacombe di Priscilla è più una natività che un presepio, c’è solo la Sacra Famiglia, ma Maria e Giuseppe guardano lontano, verso l’orizzonte. Nessuno sa quante altre fosse comuni ci siano nel sud della Siria, nei pressi di Daraa, o più a occidente, nella Valle dell’Oronte, verso il Libano: i luoghi più noti di carneficine efferate seguite al 2011 e ancora non esplorate.
È lecito temere che i numeri siano simili. Che comunque le cose stiano così è sicuro; in particolare per quelle che si trovano ancora non identificate nella Valle dell’Oronte abbiamo la preziosa testimonianza di padre Paolo Dall’Oglio, che le ha viste appena scavate quando si recò nei pressi di Homs per chiedere e ottenere il rilascio di alcuni cristiani presi in ostaggio da un gruppo armato. Parlò dell’al di là con uno degli armati, che gli disse: «Tu mi sei entrato nel cuore». La prima volta che rientrò da clandestino in Siria, diversi mesi prima del sequestro, lo fece perché voleva andare a pregare su quelle fosse comuni. Il presepe che ho immaginato rappresenterebbe quella preghiera non più possibile, ma desiderata tanto fortemente quanto solitariamente, durante il breve ma febbrile esilio dalla sua Siria.
Ma perché ho immaginato la natività e non una croce? Forse ho sentito che è dal contatto fisico con la verità, con gli ambienti terrificanti di questo immane dolore, che potrà nascere la nuova Siria. Così nell’aprirsi delle porte dell’inferno fatto dall’uomo ho visto la vera speranza, la natività è lì, come l’antica icona. E mi sono convinto che l’altra Saydanya deve restare lì, vuota.
Riccardo Cristiano per Condividere
(Le foto di questo servizio sono di Leonardo Zellino)