La questione dei seminari oggi è forse una delle più complesse del cambiamento epocale della Chiesa in atto. Si usano spesso due categorie socio-ecclesiali per interpretarla: la crisi delle vocazioni (intendendo, soprattutto, per crisi il calo del numero degli ingressi in seminario) e il bisogno di pensare a una riforma e a un cambiamento proprio della istituzione canonica formativa e pastorale dei seminari. Intendo qui piuttosto delineare quelle che, secondo me, sono le dimensioni della complessità che riguardano i seminari e l’annuncio vocazionale nel nostro cambiato contesto ecclesiale. Un primo passo è quello di porle in un insieme poliedrico da cui emerga la complessità del cambiamento che traduca la parola crisi con la categoria escatologica del travaglio e ci restituisca così il sorgere di un nuovo momento della vita della Chiesa, dono dello Spirito, Vangelo di speranza.
Le piatte letture descrittive del fenomeno “crisi” non permettono di maturare una visione lungimirante che partecipi del legame tra Dio e la storia, tra Dio e la Chiesa, costituita sacramentalmente come la Sposa del Figlio. Quando ci si approccia a tale questione bisogna guardare insieme la complessità poliedrica in cui contestualizzare la domanda sui seminari: le differenti antropologie che approdano alla proposta vocazionale; la fatica della formazione tra le identità dei soggetti in discernimento e la dimensione comunitaria della via discepolare in seminario; la separazione avvenuta tra mentalità diffusa come cultura non più cristiana e la vita pastorale delle e nelle parrocchie; la riscrittura della significatività della vita del prete nel nuovo contesto di marginalità e minorità e pluralità pubblica per la comunità ecclesiale; infine, e non per ultima, la nuova percezione teologale della fede come senso intero della vita. Ognuno poi sceglierà da quale via accedere alla questione e seguirà gli intrecci teologici, pastorali e sociali per raggiungere le altre dimensioni. Il risultato però non sarà una sintesi, o una linea chiara di demarcazione. Non è tempo di ricerche affannose di ricette e soluzioni immediate. Si tratta coraggiosamente di avviare processi.
Ecco perché ora pongo come piste per la riflessione delle domande corrispondenti alla poliedrica complessità dei seminari e delle vocazioni: come sorge oggi la domanda vocazionale e come si propongono percorsi di discernimento? Che tipo di prete si aspettano le nostre comunità? Con quali prospettive di evangelizzazione? Oggi la fede è così determinante da poter disegnare tutta una vita? Bisogna cominciare a far circolare domande, riflessioni, dibattiti, confronti, perché questi avvieranno processi che genereranno riforme canoniche e pastorali sulle problematiche del discernimento vocazionale e della formazione dei futuri presbiteri. Bisogna tornare a pensare.
don Vito Impellizzeri per Condividere
Preside Facoltà teologica di Sicilia