Il corteo di barche festanti di fronte a una città turrita del Delta del Nilo rappresentato nell’affresco minoico di Thera (Santorini) è l’emblema e l’archetipo della simbiosi tra uomo e mare come elemento fondante della civiltà mediterranea. Un pregnante «sapore» mediterraneo che ci ritorna alla mente quando sentivamo, da adolescenti, i suoni cupi e penetranti delle «brogne », vere e proprie trombe ricavate da grandi conchiglie (Charonia tritonis) nelle mattine nebbiose dello Stretto di Sicilia. Quei suoni, sapientemente modulati dai pescatori selinuntini, rimbalzavano sinistri e al contempo rassicuranti poiché garantivano la vicinanza d’invisibili compagni di viaggio in una metafisica ma rassicurante poligonale.
Di fronte all’ignoto dello spazio marino privo di orientamento era come rievocare la trepidante navigazione dei primi trafficanti neolitici, micenei, fenici, greci e romani. Spesso tutto ciò contrasta con la nostra positivistica attitudine a rendere tutto spiegabile con le leggi della scienza. Viviamo il mare come enorme serbatoio di biomasse o immenso continente liquido da solcare con in una mano il gps e nell’altra un computer che ci dà in tempo reale i dati meteo. Siamo quasi infastiditi quando ci capita di essere bloccati da un corteo di barche festanti e schiamazzanti al seguito di un Santo o di una Madonna. Viene quasi spontaneo relegare tali manifestazioni devozionali a un passato che pensiamo non abbia più alcuna ragione di esistere, invocando la cosiddetta «civiltà» di altri paesi dove tali fenomeni sono del tutto, o quasi, scomparsi. Sbagliamo!
Non ci accorgiamo che quel piccolo e limitato fastidio o limitazione della nostra libertà di movimento scaturisce da un forte sentimento di attaccamento alla storia e alla tradizione del Mediterraneo che, se da un lato non è giusto sorreggere artificiosamente o imbalsamare per meri scopi turistici, dall’altro è giusto osservare, se non partecipare, avendo chiaro che la persistenza di tali liturgie è la garanzia contro la perdita totale delle nostre radici e del nostro essere figli di questo mare.
Sebastiano Tusa, Soprintendente del mare per Condividere