Lunedì 6 gennaio, alle ore 18, nella Cattedrale di Mazara del Vallo, don Francesco Ingrande verrà ordinato presbitero.
Il 6 gennaio prossimo diventa sacerdote. Come si sente?
«Manca davvero poco alla mia ordinazione presbiterale e certamente c’è l’ansia dell’attesa mista a un’emozione molto forte. Per me, ovviamente, è il raggiungimento di un traguardo tanto sperato ed atteso e lo sto accogliendo con una enorme felicità. È un pò come quando una coppia decide di sposarsi, sappiamo bene le emozioni che si provano ed è come iniziare una nuova vita. Altrettanto è per me con la consapevolezza che si realizza in pieno la cosiddetta “chiamata” che nostro Signore mi ha voluto fare. Cerco di calmare l’ansia dell’attesa con i tanti preparativi in corso. Faccio il sacerdote perché nella fede ho trovato la mia felicità per cui attendo giorno 6 gennaio con trepidazione».
Per la prima volta le sue mani e, quindi, la sua vita verrà consacrata a Cristo…
«Sì, quello per me è il gesto più forte che ci sia nella celebrazione. In quel momento ufficialmente dai tutta la tua vita a Cristo, un sì a Dio che però dovrà durare in eterno e so anche che quella stessa emozione di felicità che proverò durante l’ordinazione, dovrò farla mia ogni giorno della mia vita. Solo con la gioia vera e pura si può avere una vita sacerdotale da “buon pastore”. Un altro aspetto importante a cui in questi giorni penso fortemente è anche quando, giorno 12 gennaio, alle ore 11,30 nella parrocchia di Cristo Re a Mazara del Vallo, celebrerò la mia prima messa. In quel momento per la prima volta consacrerò il corpo e il sangue di Cristo e quello è per me un peso molto forte perchè so l’importanza che ha per noi cristiani quel determinato momento. Su quel gesto si fonda la nostra fede e di conseguenza una domanda in queste ore circola nella mia testa: sono degno?»
Predicare il Vangelo, un compito fondamentale per un novello presbitero…
«L’omelia è un modo per approcciarti alla gente e di conseguenza per far approcciare la gente a Cristo. Chi in generale decide di diventare presbitero lo fa perchè innamorato di Cristo e quello stesso amore bisogna essere bravi ad esprimerlo nei nostri pensieri dall’ambone perchè deve contagiare chi ci ascolta. Se non si fa questo credo che l’omelia non abbia un senso».
Oltre che predicarlo, il Vangelo va anche vissuto, testimoniato e portato in giro.
«Portare il Vangelo in qualsiasi angolo del mondo è il nostro compito ma quest’azione ha un peso molto importante e implica quindi delle difficoltà. La mia speranza e il mio obiettivo è quello, come dicevo prima, di trasmettere agli altri lo stesso amore che io ho per Dio. Per far questo ci sono varie forme. Sicuramente il mio essere giovane e quindi di una generazione diversa rispetto a quella di qualche confratello mi consente di trasmettere questo amore in maniera giovanile senza usare grandi filosofie o termini specificatamente clericali. Un linguaggio semplice che possa essere alla portata di tutti. Per fare un esempio “televisivo”, tra don Camillo e don Matteo, preferisco sentirmi più don Matteo. Di conseguenza è così anche il mio modo di essere nella vita di tutti i giorni: semplice. È questa la mia arma nell’evangelizzazione. Una cosa di cui mi vanto, ma sol perché me lo riconoscono gli altri, è il fatto di riuscire a interloquire su temi caldi, religione e fede anche con giovani o meno giovani che si professano atei o con cui nessun prete aveva prima parlato. Non guardo chi ho davanti con presunzione o giudizio e neanche mi approccio con lo scopo di dover per forza convertire qualcuno. Semplicemente parlarne è per me già una conquista. L’altro poi, magari grazie a me piccolo strumento, poi magari potrebbe incontrare Dio. Sui giovani a parer mio l’errore che qualcuno oggi commette nella nostra società è giudicarli. Questo aspetto chiude immediatamente qualsiasi ponte di dialogo. Prima di mettere in discussione gli altri dovremmo metterci noi per primi in discussione».
Da 20 anni Mazara del Vallo non esprimeva un sacerdote. Una bella responsabilità. Perché, secondo lei, la Chiesa registra crisi vocazionali?
«Io credo che mancano testimonianze vere di cos’è Cristo. Forme di tradizionalismo sfrenato hanno portato a un allontanamento del popolo dalla chiesa ma anche ad una paura, di chi crede, ad avvicinarsi alla fede per il semplice fatto di sapere che qualcuno fuori è pronto a giudicarti. Le vocazioni hanno bisogno di testimoni. Più si ascolta più l’altro è invogliato a capire. Noi, in senso generico ovviamente, forse siamo presi da così tanti formalismi che ci dimentichiamo di ascoltare. La società, ormai scristianizzata, influisce sul ragazzo che magari vorrebbe avvicinarsi a Cristo e a quest’ultimo poi viene a mancare il coraggio. Siamo in una società abituata ancora alla Chiesa come potere e casta dove la gente, nel 2025, si scandalizza nel vedere un sacerdote in un bar per un caffè piuttosto che in pizzeria o in giro nelle nostre piazze; si scandalizza nel vedere un prete che fa azioni normali di tutti i giorni. È lo stesso Papa Francesco a chiederci oggi una Chiesa in uscita fuori dalle sacrestie».
Una sua ex docente un giorno mi disse: guardo don Francesco e capisco che i miracoli esistono perché a scuola era una peste. Vederlo sull’altare mi fa capire la potenza di Dio. Cosa ne pensa?
«Dio ha tirato fuori tutta la bellezza che era chiusa dentro me e che io stavo sopprimendo con la mia bruttezza, chiudendomi in me stesso e nel non sapere andare avanti nella vita. Dio ha permesso di scoprire il bello che c’era dentro me. La sua vicinanza mi ha completamente cambiato e mi ha reso felice. Magari ero ribelle perché forse io non mi capivo bene, non riuscivo a volermi bene e reagivo con il fatto che ero irrequieto. Ecco perché continuo ancora a dire che il nostro compito principale è aiutare a tirar fuori dalle persone la loro bellezza e felicità e spero di riuscirci. Con questa occasione vorrei anche dire grazie a mia mamma e mio papà che sempre mi hanno accompagnato nel mio cammino e quando ho detto di voler entrare in seminario loro mi hanno detto dopo qualche giorno di riflessione: sei felice? A quella domanda io ho risposto sì e da allora mi hanno sempre sostenuto. Per questo voglio dirgli grazie».
Una frase che vorrebbe segnasse la sua vita sacerdotale?
«Un passo che mi accompagna già dall’inizio del mio cammino è quello di Siracide 2, 1-6 dove, a un certo punto, viene scritto “l’oro si forgia con il fuoco” quindi io ho Cristo che per me rappresenta tutto ma so che la vita non è stata e non sarà facile e quindi momenti di tristezza, sconforto, difficoltà sicuramente ci saranno ma so che li affronterò per continuare ad amare Cristo sempre più».
Roberto Marrone per Condividere