Non è facile cogliere il significato del pane, del puro e semplice pane, in un’epoca caratterizzata da cibi transgenici, diete ipocaloriche e cucina macrobiotica. Fino a qualche decennio fa, invece, questo elemento era fondamentale nell’alimentazione di grandi e piccini, principi e villani; al punto da essere considerato, specialmente dal ceto contadino che sulla propria pelle sperimentava quotidianamente la fatica per conquistarselo, un alimento pressoché sacro. Da qui un vero e proprio culto che dà origine a tutta una serie di pani pervasi di sacralità che la tradizione continua a perpetuare con forme, simboli e riti ancora vivi nella quotidianità popolare. […] Nata come ex voto, in ringraziamento o anche a propiziazione di una grazia, la Cena di San Giuseppe fu inizialmente l’atto di amore di un singolo o di una sola famiglia nei confronti del Bambino Gesù, della Madonna e di S. Giuseppe impersonati da tre bambini poveri ai quali, almeno in quella circostanza, veniva offerta la possibilità di mangiare a sazietà.
E per comprendere compiutamente quell’atto d’amore basti pensare alle condizioni di indigenza pressoché generalizzata in cui versava la gente del popolo ed al sacrificio che doveva costare al devoto anfitrione offrire a quei tre bambini non consanguinei una quantità di vivande che sarebbe stata sufficiente a sfamare l’intera famiglia forse per più settimane. Ma Gesù aveva detto: donate ai poveri perché sarete ricompensati anche su questa terra. Pertanto inchiri a panzudda ai virgineddi, cioè sfamare quei tre bambini, lasciava ragionevolmente sperare in un “ritorno” di quel dono sia in termini di grazia divina che di abbondanza per un raccolto che era ancora nel ventre della terra ma che di lì a poco, con l’esplodere dell’imminente primavera, sarebbe cresciuto sicuramente florido e rigoglioso. […] Col passare del tempo questa usanza è andata radicandosi fino a diventare, soprattutto nell’ambito del ceto agricolo ed artigianale, una vera e propria tradizione.
Il voto della “cena” esce dal privato per coinvolgere, in forma attiva o passiva, tutto il vicinato: quasi che la promessa fatta da un singolo o da una sola famiglia vada a trasformarsi nel voto di tutto il parentado, di un intero quartiere. […] Col passare del tempo la tecnica di lavorazione dei pani è andata sempre più affinandosi, con risultati che ormai raggiungono livelli artistici talvolta quasi miracolosi: specialmente ove si consideri la povertà della materia prima costituita esclusivamente da farina di grano duro, acqua ed un pizzico di sale, spesso con l’unica aggiunta, a scopo puramente ornamentale, di una pennellata di albume che conferisce alle forme un prezioso velo traslucido. […]
Sul piccolo altare a tre livelli allestito all’interno della struttura non possono mancare particolari pani e precisi simboli che da sempre ribadiscono significati costanti e di facile lettura nella loro semplicità. Sul primo livello dell’altare vengono, infatti, collocati, affiancati l’uno all’altro, tre grandi pani incredibilmente lavorati. Quello posto al centro si chiama Cucciddàtu ed è destinato al bambino che nel convito impersona Gesù Bambino. Sulla sua superficie vengono sempre applicati almeno questi elementi: la camicina di Gesù, simbolo della sua povertà, il gelsomino, suo fiore preferito, e poi dei chiodi, il martello, le tenaglie, simbolo della Passione, per finire con altri elementi ornamentali come fiori e uccelli ed una grande “G” che sta per Gesù. Alla destra del cucciddatu viene collocato un altro grosso pane chiamato “Parma”, in ricordo della palma da datteri che durante la fuga in Egitto si piegò per ristorare la Madonna. È destinato alla bambina che rappresenta Maria e viene sempre decorato con una rosa, un fiocco legato , simbolo di verginità, alcuni datteri ed una grande “M” che sta per Maria. Al lato sinistro si dispone U vastùni, altro pane a forma di bastone ricurvo all’estremità superiore, destinato al bambino che interpreta il ruolo di S. Giuseppe. Anche su quest’ultimo vengono applicate ricche decorazioni quali un giglio, simbolo di purezza, alcuni arnesi di lavoro usati dal santo falegname ed una grande “G” che sta per Giuseppe.
Sul secondo gradino dell’altare vengono collocati gli stessi pani, nel medesimo ordine ma, per così dire, riprodotti su scala ridotta. Sul terzo ripiano viene collocato un pane a forma di “Spéra” (ostensorio), simbolo dell’Eucaristia, un altro a forma di Calice, due Angeli oranti, spighe ed uva. […] Sullo sfondo troneggia un quadro raffigurante la Sacra Famiglia. Anche per quanto riguarda il convito vero e proprio possiamo dire che il rituale non ha subito innovazioni vere e proprie. Da sempre, infatti, dopo la benedizione della cena e dei pani somministrata da un sacerdote, il padrone di casa munito di una brocca contenente dell’acqua, di una bacinella e di una candida tovaglia di lino, lava, deterge e bacia le mani dei tre bambini. […] In chiusura il padrone di casa porta in tavola un grosso pane, stavolta di foggia poco elaborata, che il Bambino Gesù dovrà spezzare. Secondo la tradizione quanto più grosso sarà il primo pezzo di pane tanto più prospero sarà quell’anno il raccolto. Piatto finale e caratterizzante di tutta la Cena è la “pasta con la mollica” i cui ingredienti, spaghetti al dente, mollica ottenuta dal pane leggermente raffermo, zucchero, prezzemolo e pochissima cannella, sono in pratica codificati da secoli. […].
Paolo Cammarata