[CHIESA E MAFIA] Educare al bene scombinando con lo stupore la violenza del potere

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Scrivere su Chiesa e mafia può trovare tantissime possibilità: la questione storico-sociale, quella culturale, la sfida alla religiosità popolare. Io scelgo semplicemente di mettermi sulle orme di padre Pino Puglisi. Sono passati 30 anni dall’assassinio-martirio di Pino Puglisi. Il sorriso di don Pino prima di morire è un testamento teologico, politico e pedagogico, un modo di essere chiesa in questo mondo, che è disarmato, di chi educa al bene comune senza giudicare, e disarmante perché scombina con lo stupore la violenza del potere; un sorriso umile da humus-terra, concreto, vicino e prossimo alle persone a Godrano così come a Brancaccio; vulnerabile che non si impone, che entra in punta di piedi e in profondità dentro i contesti e nella vita del suo popolo; un sorriso trasgressivo che trasforma chi lo riceve, un sorriso che libera attraverso la cura dei bambini, dei giovani, togliendo una generazione alla mafia e alla schiavitù dei suoi codici culturali.

Se lo scisma più grande è stato separare il cristianesimo dall’umanità, la spiritualità dalla politica, nella testimonianza di padre Puglisi sembra ricongiungersi nel suo essere credente una credibilità umana, fatta di eccezionalità nella quotidianità dell’impegno e nella responsabilità delle scelte per costruire una città giusta, una città poliedro, attraverso una politica di prossimità e di cura, aperta alla diversità, che non lascia nessuno indietro, generativa di bene per tutti. È tempo di farsi testimoni della memoria passionis della vittima, custodita in quella espressione drammatica della consapevolezza del martire: «me l’aspettavo!». È la coscienza del dare la vita del martire che genera il legame pasquale con la storia e la rende salvezza. Nella coscienza cristica del martire, in ragione del legame pasquale con il Risorto, la storia diventa salvezza.

«Signore quante volte dovrò perdonare mio fratello, sette volte?». È tempo di scrivere una nuova pagina di fede sul perdono e la pace, una narrazione meridiana della reciprocità tra profezia e martirio, proprio in una terra ferita e violata da logiche mafiose e di potere. Tutto nel nome delle vittime. La reciprocità teologale tra profezia e martirio ci inserisce nella differenza tra legalità e giustizia e smonta il pregiudizio della debolezza del porgi l’altra guancia, per scrivere il perdono come categoria teologico-politica e ci fa riflettere, come contributo della cultura evangelica, sulla questione della giustizia a partire dalle vittime. Cerca così di scorgere nelle pieghe della storia e nelle piaghe delle vittime i germogli di regno di Dio. Il sangue di Abele e le mani di Caino. E la domanda di Dio: dov’è tuo fratello? Se nel nome del Padre inizia la fede, nel nome della madre la vita, nel nome delle vittime inizia la giustizia.

Don Vito Impellizzeri con Anna Staropoli per Condividere

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