Sembrerà un titolo poco felice, ma a me sembra davvero azzeccato. “Il prete ai tempi del coronavirus”, si rifà al celebre romanzo di Garcia Marquez “L’amore ai tempi del colera”. Il colera è stato sconfitto e dobbiamo sconfiggere anche il coronavirus. Mi viene da pensare che i nomi delle epidemie si somigliano tutti! «Come fare il prete ai tempi del coronavirus? Cosa ne è della mia parrocchia?». Sono convinto nel dire che non mi sono mai sentito più sacerdote di adesso… adesso che paradossalmente predico a delle panche vuote e che le celebrazioni liturgiche hanno il peso di giorni e giorni di silenzio. Quanto è vero che il silenzio fa rumore! Io in queste settimane ne ho sentito parecchio dentro il mio cuore. Il rumore dei miei operosi operatori pastorali che vivono la parrocchia come una seconda casa, il rumore dei bimbi, dai piccolissimi a quelli del catechismo che urlano, corrono, animano e riempiono le mura di questo edificio facendolo vibrare di vita.
La mia parrocchia è vuota e io mi aggiro in essa con senso di impotenza, sconvolto dalla situazione che col passare delle settimane rimane ancora critica e incerta. Ma dentro questo silenzio ci sono tutti i miei parrocchiani, ogni giorno, ogni ora; in tutte le mie preghiere loro sono lì. Mai come ora sono stato sacerdote, mai come in queste settimane ho sentito l’amore dei miei parrocchiani, mai come ora ho amato loro, uno per uno. E parlo con loro attraverso la Parola di Dio, cercando di vivere sempre la comunione ecclesiale, utilizzando i social, con le dirette streaming delle celebrazioni.
E mi sembra un miracolo nel miracolo, loro a casa, io in chiesa, ma uniti nella preghiera. Sono sacerdote da 10 anni, ma solo ora ne capisco il senso più profondo. Ora, che la sofferenza ci accomuna ed è estremamente amplificata, più che mai sto toccando con mano la sofferenza della gente, ma anche la solidarietà. Le innumerevoli telefonate, le continue richieste di gente che non può fare la spesa e dall’altro lato la grande generosità di chi porta in parrocchia la spesa per i fratelli che si trovano in difficoltà; di chi regala computer a bambini che altrimenti non potrebbero partecipare alle lezioni di didattica a distanza, di chi fa recapitare lettere anonime, contenenti aiuti economici, ai quali non puoi dare un nome: tutto questo sta succedendo nella mia comunità; io la chiamo Provvidenza e questo sta rendendo la mia fede ancora più forte.
È proprio vero, il bene è un boomerang, torna indietro. Fare il prete ai tempi del coronavirus è stancante: smisto spesa per ore e ore, è triste; sono solo tra queste mura; è preoccupante pensare come faremo a ripartire con innumerevoli problemi; ma è anche straordinariamente un momento di pura grazia nella disgrazia. Pura grazia per il bene immenso che si è messo in moto; per il bene immenso che provo per i parrocchiani, di cui sento la mancanza, perchè percepiti dal mio cuore come figli lontani.
Davvero non vedo l’ora di riabbracciarli; davvero non vedo l’ora di fare, e stancarmi di fare, ma insieme a tutti loro. Perchè siamo una comunità parrocchiale e questo vuol dire che siamo una famiglia. Il tempo del coronavirus finirà e ci avrà lasciato tanta sofferenza. Ma una cosa buona questo virus l’avrà fatto: ci ha fatto riscoprire l’amore.
don Giacomo Putaggio per Condividere