[CULTURA] Il dipinto dell’Annunziata: il volto, i gesti e il mistero

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Pochi volti sono misteriosi ed enigmatici come quello della fanciulla siciliana che a Palermo da secoli appare come Vergine Annunziata: lo sguardo obliquo e assorto, il sorriso appena accennato e pronto a ritrarsi, il manto turchino che avvolge interamente la figura e la racchiude, il gesto che sfonda la bidimensionalità della tavola dipinta. La vitalità della pittura siciliana su tavola ha il suo fulcro nella straordinaria personalità di Antonello da Messina (Messina, 1430 ca. – 1479), che interpreta e rielabora il rinnovamento fiammingo, unendolo alla grande lezione della sintesi prospettica e formale italiana, insieme a Piero della Francesca.

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Fin dalle prime opere Antonello unisce l’attenzione ai minimi dettagli naturalistici, la cura del particolare, l’analisi fisica e psicologica dei personaggi, all’impostazione monumentale delle figure e all’ampia concezione dello spazio. Il tema dell’Annunziata è caro ad Antonello; sono noti altri due dipinti, ma la verve interpretativa del Maestro ha in quest’opera il suo capolavoro. Qui la Madonna in primo piano compie il duplice gesto di chiudere il manto e di aprirsi, con l’altra mano, verso l’osservatore; la Vergine è colta non nell’istante dell’annuncio, ma in quello immediatamente successivo, quando, rimasta sola, medita sull’accaduto. Il volto è illuminato da una luce proveniente dall’alto, riflessa dal piano orizzontale dello scrittoio e dal leggio, dove il libro che si squaderna è l’unico segno di movimento in una apparente immobilità; ma non è immobile lo sguardo, intenso e pensoso. Il perfetto ovale del volto si inserisce nella sagoma geometrica del manto; l’assialità della figura è sottolineata dal tratto che parte dal vertice del capo (la piega centrale del velo), continua nella delicata linea del naso, si esaurisce con le nocche della mano e infine nello spigolo del leggio.

Grande attenzione per l’impostazione geometrica della figura, dove dominano equilibrio e sintesi narrativa, in un tempo che sembra sospeso tra l’accoglienza e il riserbo del segreto divino appena annunciato (la mano che chiude il manto) e l’apertura al mondo di quella parte del segreto che può essere rivelata (la mano aperta verso l’osservatore). Immagine teologicamente strutturata, il dipinto sembra mostrare un’interpretazione intima e delicata dell’annuncio, quasi una locuzione interiore; il sapiente uso del chiaroscuro sul volto e della costruzione dell’intera immagine è funzionale alla comunicazione del grande Mistero dell’Incarnazione, di cui la Vergine è indiscussa protagonista. In Lei maturano quelle riflessioni profonde che in altra occasione il Vangelo stesso le attribuisce come abituali («Maria custodiva…tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» – Lc 2,19). La Vergine dell’Annuncio è qui anche la Madonna del silenzio, del nascondimento, del Mistero racchiuso sotto il suo splendente velo turchino. Il Figlio di Dio è già entrato nella storia.

Francesca Paola Massara, direttrice Museo diocesano

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