Ogni giorno il mio programma è differente, certamente non è monotono. Dal convento di Haifa dove vivo assieme al confratello Osama, quotidianamente visito le scuole della Custodia di Terra Santa in Galilea, di cui sono il coordinatore e di alcune anche il direttore, in particolare quella di Nazareth, una delle più grandi scuole cristiane di Terra Santa e quella di Acco, sulla costa mediterranea, fino ad arrivare a quella di Kfar Cana nel confine tra Libano e Siria. Certe cose non te le insegna nessuno e devi essere capace di cercare, nella fede e nelle amicizie, le risposte che servono a portare avanti la missione anche in momenti difficili come la guerra, o meglio le guerre. Sì, perché ormai da più di un anno il nostro Paese è in guerra, e per noi la situazione è molto complicata. Come arabi cristiani, cittadini di Israele, viviamo il dramma della doppia appartenenza, da un lato quella politica, perché noi siamo cittadini israeliani, ma siamo anche di cultura araba palestinese e siamo legati ai due popoli.
Essere educatori in un contesto così complicato significa trovare sempre le parole giuste e il giusto equilibrio per educare i nostri giovani alla pace e alla convivenza, esprimendo i nostri valori cristiani di rifiuto totale a ogni forma di violenza. Lo spostamento del conflitto sul fronte libanese ha messo le nostre scuole a dura prova. Non tutte le nostre strutture scolastiche hanno le aule di protezione anti-missile e per molte settimane gli studenti hanno studiato a distanza da casa. Poi anche durante il conflitto siamo riusciti a fare dei lavori di adeguamento e abbiamo riportato in classe gli studenti delle scuole elementari di Haifa e Nazareth. Ma tremano le gambe ogni volta che suona l’allarme antimissile e tutti in pochi secondi si devono spostare nelle zone di protezione. Quella della guerra è una situazione molto difficile che si aggiunge alle sfide quotidiane come l’integrazione e il dialogo tra culture e religioni diverse, ma anche la lotta alla criminalità. Eppure, nonostante le difficoltà, ogni giorno siamo chiamati a guardare oltre, cercare le risposte e immaginare un orizzonte di speranza a volte difficile da vedere.
Le domande di un bambino su perché gli uomini si fanno la guerra, vedere il lavoro silenzioso di amici ebrei cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi che, senza guardare alle notizie, continuano a dare prova di un’umanità che ancora vuole dare speranza, danno risposta ai momenti difficili. Certamente quello che stiamo vivendo è un momento difficile, ma come frati francescani siamo presenti in Terra Santa da oltre ottocento anni e in momenti complicati come questo siamo sempre rimasti a fianco delle popolazioni insistendo con l’educazione dei più piccoli e dei giovani. I nostri giovani hanno desiderio di vita, di normalità e soprattutto di pace, e noi dobbiamo essere pronti ad accoglierli nella vita e accompagnarli nella fede a essere uomini e donne di pace protagonisti del loro futuro, di cui la nostra società ha molto bisogno.
Fra Badie Elias, ofm per Condividere
Direttore delle scuole di Terra Santa in Galilea