Immagino che accanto al papà Vincenzo, il giorno drammatico dell’incidente aereo, alle porte del cielo Sebastiano abbia trovato anche Rosario Di Fresco e gli abbia sorriso e gli abbia sussurrato “bentornato”, esattamente come avveniva ogni volta a Pantelleria, a Mursia o a Scauri, dove il sole dura un’ora in più, ho avuto in questi anni il privilegio di stare molte ore seduto tra Rosario e Sebastiano e viaggiare, grazie ai loro discorsi, alle loro intuizioni archeologiche, alla loro passione per la storia dell’Isola, di viaggiare nella storia, imparando a riconoscere e amare la differenza di un semplice reperto antico da un frammento di vita, che consegna memoria, libertà, storie, volti, dignità.
In macchina, la vecchia macchina di Rosario, per arrivare in prossimità del mare dove Sebastiano con i suoi occhiali tondi riusciva a farmi vedere i fondali, alla ricerca non solo di ritrovamenti ma di testimonianze, di racconti, di vita. Per lui il mare custodiva il più grande dei tesori: la storia. Il primo ricordo concreto che voglio condividere è il modo con cui ha cercato di appassionarmi alla nave romana ritrovata nel nostro mare, grazie all’anello del comandante che riportava una simbolica cristiana e poi il possibile ritrovamento di una vasca battesimale a Scauri. Mi ha consegnato il desiderio di uno studio sulle origini del cristianesimo nella nostra Isola, su come sia arrivato dal mare, quali rotte avesse solcato, magari dalla Siria verso la Sardegna. Voleva che facessi con lui questo studio. Beh, forse ora lo comincio proprio per affetto e gratitudine e per dedicarlo a lui.
Più volte mi ha coinvolto nella sua esperienza di Soprintendenza del mare, poi questo, più volte avvenuto, passaggio ai beni culturali, il continuo rapporto con Mazara del Vallo per il grande tema del Mediterraneo. La sua politica culturale non era fastidiosa, non era falsa, non cercava guadagni, non nascondeva interessi, non aveva disegni occulti. Chi ama la storia ha il senso della storia, e quindi fa politica pensando alla storia, questo è il secondo insegnamento di Sebastiano.
La sua libertà e la sua indifferenza alla mentalità del potere, la sua capacità di sedersi con tutti ma di non essere al servizio di nessuno, la sua dignità tutta culturale, è l’esempio che io mi sono portato via da ogni incontro, convegno, dibattito a cui mi ha fatto partecipare. Ma c’è una terza dimensione, la più intima e la più difficile, che mi lega a Sebastiano, oltre l’amore per Pantelleria e la politica culturale, la sua lotta di dignità e di salute, appena vinta, con un tumore. Ambedue siamo stati molto malati, in prossimità della morte, e i colloqui fraterni quando si ritorna da lì cambiano, perché riconoscono il peso di ogni cosa.
Lui pensava tanto a Dio. E sorridevamo di questo nelle poche ma vere volte che ci siamo visti. Avevamo ambedue gli occhi segnati da cosa avevamo visto e da come ci eravamo visti noi stessi. Ecco, credo che il Padre, accogliendo Sebastiano, lo abbia guardato negli occhi, e vi abbia riconosciuto il disegno, il profilo, il tratteggiamento di tracce esodali, pupille di chi ha guardato la storia per riconoscervi la vita dei popoli, del popolo, del popolo di Dio. Ecco cosa hanno in comune Dio e Sebastiano: guardano la storia come la vita del popolo. Probabilmente nell’eternità il libro dell’Esodo sarà lettura comune tra Dio e Sebastiano.
Don Vito Impellizzeri per Condividere