[IL SALUTO A MOGAVERO] Caricato: «Il suo approccio al mondo per nulla clericale»

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Nel mio lavoro, con gli anni, affini la capacità di comprendere al volo con chi hai a che fare. È un po’ il mestiere che ti porta a scandagliare, per il resto funziona la qualità di genere: l’intuito femminile. Don Domenico Mogavero (perché per me è e resterà sempre il “don”) l’ho valutato subito per il sorriso pronto, l’ironia che affiorava dal pozzo profondo degli occhi, l’approccio, per nulla clericale, al mondo. Uno simpatico. Immediatamente e spontaneamente autentico. Un siciliano atipico. Senza ritrosie, cerimoniosità, pigri pessimismi. Un monsignore perennemente in movimento, persino sfacciato nell’imporre punti di vista, opinioni, giudizi. In lui, già quando frequentava le stanze di circonvallazione Aurelia, non c’erano fingimenti.

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Quello che passava per la testa, dopo il vaglio di una intelligenza acuta, finiva per essere spiattellato con l’accompagnamento sonoro di una risata. Non superficialità, ma gioia di vivere. Di più. Letizia per essere al mondo, chiamato a fare il prete e poi il dotto canonista, infine il Vescovo e il pastore. Nessuna distanza. Nessun ieratico arroccamento. Nessun formalismo. Mille volte ha avuto la pazienza di spiegare a me, ignorante di legge, documenti e testi varati dalla Cei. In più di un’occasione ha fatto filtrare posizioni e notizie, senza rompere mai il patto di fiducia che lo legava all’istituzione, ma operando per il bene, informando il giusto. Lui non è mai stato una fonte, ma sempre un complice.Non solo per me, ma per tanti altri colleghi. Forse la sicilianità ci ha legato. L’amore per il mare e il sole accecante, il fatto che quando lo incrociavo la sua solarità inondava lo spazio in cui ruotava, ricordandomi la terra dove sono nata, quella che mi ha lasciato addosso l’odore dei capperi e il sapore del vento.

Il suo saluto aveva lo stesso confortante umore del caldo abbraccio che mi ha accolto quando sono venuta al mondo: l’isola che mi ha amato come figlia, seppure straniera. Poi ci sono state le trasferte cercate e inseguite, i viaggi in Sicilia appresso ai Papi, gli incontri agli eventi ecclesiali, in Italia e in giro per il mondo. E sempre, nelle telefonate al volo o negli incontri, quella sensazione di sintonia totale, l’empatia e il sollievo nel riconoscere una persona su cui sai che potrai contare. Per una chiacchierata sullo stato della Chiesa, per condividere dubbi e perplessità di politica ecclesiale, per lasciarsi andare a scoppi improvvisi e tirate d’orecchie o semplicemente per mangiare un piatto come si deve e sentire l’accento che ti fa stare bene. Qualche volta ha anche raccolto le mie lacrime. Consolandomi. Come un bravo sacerdote deve sempre saper fare, anche se ha conquistato la dignità episcopale. O forse come solo un amico può fare.

Cristiana Caricato per Condividere 

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