Monsignor Fabiano Longoni è da tre anni Direttore dell’Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e il lavoro.
Monsignore, in questi decenni abbiamo guardato poco alla terra, oppure l’abbiamo eccessivamente sfruttata. secondo lei, bisognerà ripartire dalla terra anche per guardare a una famiglia più umana, a relazioni più solidali?
«Assolutamente sì. Credo che il cuore dell’enciclica Laudato sì stia proprio in questa connessione. La terra, nel testo del Papa, è intesa secondo la logica della biodiversità e l’anno internazionale dei legumi promosso dall’Onu è su questa linea. La visione sull’ottica della valorizzazione delle specie, di una coltivazione con equilibrio è la via da percorrere. È innegabile che nel mondo ci sono state zone dove si è fatto uno sconsiderato uso della terra e Papa Francesco cita nella sua enciclica alcuni casi. Dobbiamo impegnarci tutti in un percorso formativo ed educativo e mettere in pratica tutto ciò che viene suggerito nel Messaggio dei Vescovi: sobrietà delle tradizioni alimentari, valorizzazione delle produzioni tipiche e locali, sana nutrizione, sostenibilità ambientale».
Coltivare ma anche custodire la terra, come dice la Laudato sì. cosa dobbiamo cambiare per andare verso questa direzione?
«Credo che non dobbiamo farci prendere dalla paura e dal guadagno immediato. Dobbiamo usare l’intelligenza per sapere cosa l’uomo sa fare per evitare il degrado ambientale. Per il futuro bisognerà fare delle scelte. Già alcune, a livello internazionale, sono state fatte. Siamo dentro questo processo per frenare il disastro ecologico. Dobbiamo capire le ricchezze che abbiamo e saperle gestire. Il futuro non è roseo ma questo non significa che bisogna arrendersi».
Oggi si parla di spiritualità nel coltivare la terra. come si può combinare questo valore con quello di un rendimento economico adeguato?
«Bisogna, intanto, capire cosa significa sobrietà. Spesso questo termine è confuso con povertà. Ma non è così. Sobrietà significa coltivare in modo adeguato, con equilibrio. E questo implica, che a monte ci siano equilibri culturali che poi, a sua volta, si trasmettono sul piano delle scelte. E parlando di agricoltura questo significa utilizzo corretto di macchinari, coltivazione con etica senza guardare alle colture intensive. Se l’ottica è quella che più produciamo più otteniamo, la via non sarà quella giusta. E se il futuro dipende da noi, siamo tutti responsabili nel saper fare le scelte giuste, di equilibrio con la terra che ci nutre».
Max Firreri