Piera Aiello è una donna siciliana con una storia romanzesca e un aspetto che non la rivela neanche un po’. È sorridente, con poche rughe, poco trucco, piena di parole che non hanno perso l’accento del suo paese belicino: Partanna. Ha 45 anni e ne aveva 22 di meno quando ha fatto un salto nel buio e ha voltato le spalle ad una famiglia di mafia. Un giorno assiste all’omicidio del marito, Nicola Atria. Gli sparano nella pizzeria che avevano avviato insieme a Montevago. Lei ha insistito per sfuggire ad una guerra di mafia che ha già lasciato a terra il suocero boss. Ma non è bastato. Piera Aiello, una figlia di tre anni in braccio, decide di raccontare quel che sa prima ai carabinieri e poi a Paolo Borsellino e ad un paio di magistrati donne come lei.
“Maledetta mafia” è il libro che racconta questa odissea dei nostri giorni. È un lavoro a quattro mani. Piera parla e ricorda, Umberto Lucentini ascolta e trascrive. Il libro è stato presentato qualche giorno addietro nell’atrio del palazzo vescovile di Mazara del Vallo nell’ambito del fuori rassegna di “Libri d’a…mare”, promossa dal Cemsi e dalla Diocesi. Al termine della presentazione, si è tenuta la degustazione di vini dell’azienda “Gazzerosse”. «Ho trovato una spalla amica dove appoggiarsi e piangere nei momenti di sconforto», racconta Piera Aiello.
«Nel corridoio c’era uno specchio – racconta – Borsellino mi disse: “Tu cosa vedi?” E io a quel punto dissi una persona che non ha un futuro. Lui mi rispose che vedeva una persona che grazie a quello che ha fatto un giorno potrà essere anche lei felice».
«Mi sono raccomandata di fare un libro non costoso – spiega – volevo che i bambini potessero acquistarlo e per trarne un insegnamento del dovere di un cittadino. Quello che è la testimonianza. Testimoniare oggi – conclude Aiello – potrebbe sembrare più semplice perché c’è più informazione. 22 anni fa era un tabù».
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