[LA RIFLESSIONE] La Visita Pastorale #movipastor: incontro al fratello

0

Da anni ormai cerco di rappresentare in modo autentico la realtà che mi circonda, rimanendo relegato dietro la mia macchina fotografica, fredda, priva di emozioni, pronta a congelare per il tempo che verrà, ciò che è stato e mai più sarà. Una enorme responsabilità etica è quella del fotografo che in modo del tutto onesto e disinteressato deve narrare i fatti, riassumendoli in un centinaio di istantanee. In quei brevissimi momenti la mia domanda è sempre la stessa: sono stato in grado di assolvere il mio compito in modo chiaro e totalmente libero da qualsivoglia suggestione? Oggi mi si chiede di raccontare in poche righe non un solo istante ma un tempo fatto di una memoria più lunga, un tempo che è stato scandito da centinaia di sguardi, migliaia di parole, abbracci, lacrime e sorrisi e al contrario del mio lavoro, pieno di suggestioni. La mia brevissima esperienza è stata, a titolo personale, una esperienza da pioniere nella “religiosità” del territorio, in quanto dichiaratamente ateo (ma non ottuso) e aperto a ogni tipo di esperienza che possa rinvigorire l’animo.

Ho sempre messo in discussione la mia fede con un punto di domanda che a rigor di logica – la mia logica – mi ha fatto porre incessanti quesiti e non meno inquietudini sul perché della nostra esistenza: dove è Gesù? Allora comincia la mia ricerca (l’ennesima), pur continuando ad assolvere il mio compito di reporter, rimanendo fin da subito vicino agli uomini che Gesù lo hanno già trovato, vicino a chi porta la Parola di dio, prima nel suo cuore e poi, spesso con grande umiltà, fuori dai suoi polmoni. Io dovrei raccontare di realtà che non potevo neanche immaginare, dovrei raccontare di uomini che vivono in piccole comunità come quelle di Vita, Santa Ninfa, Partanna, paesi spesso dimenticati dopo il terremoto, agghindati da strutture talvolta glaciali e futuristiche, ormai fatiscenti, dove la Visita del Vescovo è un evento non da poco.

Dovrei raccontare delle lacrime sostenute dagli occhi di un anziano signore che, toccando il monsignore, a stento riesce a dire: «io un Vescovo nella mia vita non l’ho mai toccato» e in quella lacrima sedata da un abbraccio fraterno prova a lenire la sofferenza e la fatica di una vita rude, legata alla campagna, al sacrificio, alle sue domande senza risposta e una irrefrenabile voglia di raccontarsi. Dovrei descrivervi la gioia dei bambini che nella loro pura ingenuità festeggiano un momento di collettività vera e che ben non comprendono il perché della stessa festa. Dovrei raccontare delle migliaia di persiane chiuse e che spesso celano dietro a quegli infissi storie di sofferenza; di famiglie visitate, che per un attimo hanno aperto quelle finestre, condividendo il loro valore di fede, un piccolo brandello di speranza nella talare a cui rimanere aggrappati, ridestate da una semplicissima frase pronunciata da padre, prima ancora che da un uomo di Chiesa.

Dovrei raccontare di ciò che porto nella memoria, ma questo lo facciano i bravi scrittori… Ma, una cosa tengo a voler dire, di tutte le volte che finita la “festa” dell’accoglienza mi sono ritrovato in una chiesa vuota, immerso nel silenzio, rimirando incessantemente quell’uomo in croce dilaniato dalla stessa sofferenza che è la sofferenza del genere umano, e mi chiedo, ancora una volta: dove è Gesù? Il sentimento è quello dell’impazienza e cresce, perché ho volontà di uscire fuori da quell’edificio che custodisce memoria e non rimanere lì a commiserare me stesso; ho voglia di tornare in mezzo alla gente, ascoltare gli anziani nelle case di riposo di Campobello di Mazara, rivedere il sorriso delle signore di una contrada di Marsala, perdermi nelle rughe scavate dal vento di una madre di Pantelleria, delle sue buone maniere, della sua riverenza che le fa tirare fuori il servizio buono dalla credenza, perché un atto di misericordia le è stato concesso ed è questo il suo modo di mostrare riconoscenza.

Allora comprendo in quei momenti che la Visita pastorale ha un senso e che forse, la dimora di Cristo è in un altro luogo. Comprendo che il senso dell’amore indiscriminato è quello del cammino in mezzo alla gente, senza orpelli, senza più nulla da possedere perché da sempre ho dato. E la mia domanda diventa sempre più lecita, anzi diventa prerogativa a ogni costo affinché abbia la forza di continuare a percorrere questa strada, ancora: dove è Gesù? E lui lo ritrovo proprio qui, nella sua assenza, nel vuoto da colmare, nell’errare incessantemente per le strade, dentro ogni singolo uomo ritrovatosi in un deserto di rapporti umani e che chiede di essere accompagnato per mano, errante come tutti noi che una risposta la cerchiamo da sempre.

Salvino Martinciglio per Condividere

LEGGI QUI CONDIVIDERE DIGITAL NEWSPAPER

© RIPRODUZIONE VIETATA

Scrivi una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here