Recita il Concilio Vaticano II: «Siccome oggi, sotto il soffio della grazia dello Spirito Santo, in più parti del mondo con la preghiera, la parola e l’azione si fanno molti sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità che Gesù Cristo vuole, questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perchè, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica» (UR 4). Particolare attenzione merita l’espressione “segni dei tempi”, che oggi si mostra ancora più pressante e significativa di quanto non lo fosse all’epoca della pubblicazione dei Documenti conciliari.
Occorre riflettere insieme sul cammino ecumenico della Chiesa, chiamata a vivere la tensione verso l’unità per la quale il Signore Gesù ha pregato alla vigilia della sua morte e risurrezione: «Perchè tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21a). Tante sono state le ferite inferte al Corpo di Cristo e tante le cicatrici non ancora rimarginate! E lo dimostra l’appellativo “fratelli separati”, locuzione scandalosa, perchè non si può essere fratelli e vivere da separati. Occorre dunque convertirsi a un ecumenismo concreto, quotidiano e vitale, che riguarda tutti i christifideles: nessuno è esonerato dall’impegno a vivere e promuovere l’unità di tutti i battezzati, che professano la fede nel Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo.
Ciò nonostante, il cammino si mostra lento e faticoso e la relazione tra le Chiese cristiane, laddove esistono, si riducono spesso a esperienze occasionali, come osserva Brunetto Salvarani: «Non si trova più la questione ecumenica nelle agende che contano e […] le diocesi che vi dedicano tempo e impegno sono la classica eccezione alla regola. Non scalda i cuori, ne stimola le menti». Il fondamento ecclesiologico dal quale esso scaturisce richiede che l’ecumenismo assuma una dimensione trasversale nella pastorale delle nostre Chiese. Già nel 1994 J. Ratzinger scriveva: «Ecumenismo è, innanzitutto, un atteggiamento di fondo, un modo di vivere il cristianesimo. Non è un settore particolare accanto ad altri settori. Il desiderio dell’unità, l’impegno per l’unità appartiene alla struttura dello stesso atto di fede, perchè Cristo è venuto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. La caratteristica fondamentale […] è dunque la disponibilità di stare e di camminare insieme anche nella diversità non superata».
L’unità di tutti in Cristo sarà, in tal modo, il risultato di una crescita comune e di una comune maturazione. Quanto più i cristiani saranno fedeli al Vangelo, tanto più facilmente s’incontreranno e ritroveranno l’unità e la comunione nel loro Signore, guidati dallo Spirito (cfr Y. Congar). Forte segnale, che deve però sbriciolarsi nelle pieghe della nostra vita di fede e tradursi in metànoia, cambiamento radicale della mente e del cuore, senza la quale rischiamo di banalizzare il kèrygma e persino di tradire il Vangelo del Risorto.
Erina Ferlito per Condividere