[L’ANNIVERSARIO] Centenario dantesco: il fare poetico della Commedia

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Nel linguaggio corrente diremmo che la Commedia fu un vero e proprio caso editoriale. Infatti nessuna altra opera coeva ebbe la medesima fortuna per quantità di copie e di commenti; cosa che ci dona due preziose informazioni. Il proliferare delle copie ci ha necessariamente consegnato un testo che ben presto viene messo a rischio, in assenza di un manoscritto autografo, dalla quantità degli errori di copiatura (da qui la nascita dell’immensa tradizione esegetica) e soprattutto che tale opera necessita fin dalla prima trasmissione di un’ esegesi, vale a dire che si comprese subito di essere al cospetto di una parola “da spezzare”.

Era diffusa la sensazione di essere di fronte, anche solo per la novità della lingua, a qualcosa di mai visto. D’altra parte il fine del poema, così si legge nella Epistola a Cangrande, è togliere i viventi dallo stato di infelicità in questa vita e di guidarli alla felicità. Non è arte per l’arte, è arte per la vita. Così se la dimensione profetica fu assolutamente presente ai primi lettori, certamente andò perduta con il sovrapporsi delle interpretazioni. Negli anni 40’ del Novecento il saggio di Bruno Nardi, Dante profeta, ha inaugurato una seconda stagione di studi che hanno riportato l’attenzione al fitto dialogo di Dante con i grandi maestri del pensiero teologico, le Scritture sante, la ricchezza della predicazione, l’iconografia sacra e la polisemia della miniatura liturgica.

Ma come quegli antichi endecasillabi possono riguardare il nostro mondo veloce che brucia parole e immagini al sacro fuoco dell’innovazione? Montale, nel suo discorso finale al Congresso per il settimo centenario della nascita di Dante, espresse proprio questo paradosso secondo cui «Dante non è moderno, il che non può impedirci di comprenderlo e di sentirlo stranamente vicino a noi».

Certamente l’Alighieri fa riferimento a un sistema di valori lontano e a categorie per noi incomprensibili; ma il fatto che la Commedia sia l’opera più tradotta dopo la Bibbia e che uomini e donne di tutto il mondo continuino a restare affascinati da quello che Borges definiva «il più grande miracolo della letteratura mondiale» ci dice di un fare poetico che continua ad abitare i nostri giorni. Forse qualcosa di più, siamo al cospetto di una parola profetica. Il poeta russo Osip Mandel’štam, ad esempio, considerava «impensabile leggere i canti di Dante senza rivolgerli al presente» e li pensava «armati per percepire il futuro. Dante è un poeta in futurum».

Sulla scorta di tali lettori dunque possiamo meditare le parole di Papa Francesco: «Dante è, dunque, profeta di speranza, annunciatore della possibilità del riscatto, della liberazione, del cambiamento profondo di ogni uomo e donna, di tutta l’umanità. Egli ci invita ancora una volta a ritrovare il senso perduto o offuscato del nostro percorso umano e a sperare di rivedere l’orizzonte luminoso in cui brilla in pienezza la dignità della persona umana».

Francesca Masi
Area Direzione Generale Unità Promozione culturale Comune di Ravenna

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