Che la politica europea sulla Libia avrebbe finito per destabilizzare la Tunisia e l’intero Mediterraneo era nelle cose. Lo sanno bene i pescatori siciliani, penalizzati dalle decisioni di chi, pur di avere qualche migrante in meno sulle nostre coste, ha foraggiato la criminalità mafiosa libica lasciandola spadroneggiare per mare o per terra. Poco importa se i boss della Tripolitania o i padrini della Cirenaica indossino le divise rispettabili di militari, poliziotti o guardacoste. Qualunque Comandante di un motopesca siciliano saprebbe spiegare meglio di tanti politici cosa accade davvero nel mare nostrum, che oramai non è più nè “nostro” né di “tutti”, ma solo di “alcuni”.
Solo gli sprovveduti hanno finto di non sapere che prima o poi la crisi libica sarebbe tracimata anche in Tunisia e presto toccherà anche a Mali, Niger, con ricadute anche su Algeria e Marocco, per non dire delle province egiziane a ridosso del confine libico. Anziché puntellare il fragile sviluppo politico, sociale ed economico di Tunisi, Paesi come l’Italia hanno investito centinaia di milioni per fermare il flusso di migranti dalla Libia, incuranti di cosa sarebbe accaduto intorno. Con il risultato che le reti dei trafficanti hanno cominciato a spostare gli interessi proprio in Tunisia.
Senza alcun guadagno nei diritti umani. Lo dimostra anche il Covid. Se dalla Libia sbarcano in Sicilia migranti contagiati dal Coronavirus, è evidente che tutti i soldi versati a Tripoli non sono serviti neanche a organizzare in Libia il minimo filtro sanitario. Oggi quel che resta sulla sabbia è lo scempio dei diritti umani e la spartizione di un Paese da 6 milioni di abitanti, ma così ricco di idrocarburi da poterne mantenere nell’agio più del triplo, eppure costretto a implorare gli aiuti alimentari dalle Nazioni Unite.
In questi anni si è lasciato campo libero alle milizie che con i loro modi da pirateria hanno costretto la marineria siciliana a stare alla larga dalle tradizionali zone di pesca. Nello stesso periodo il Ministero della pesca di Tunisi ha invitato i propri pescatori ad arretrare dalle acque internazionali a ridosso della Libia, per non finire inseguiti dalle motovedette libiche. Tutto questo nel silenzio di Roma e Bruxelles. Uno schema ripetuto anche a Tunisi. Scarsi investimenti nello sviluppo, solo su un sostegno di facciata all’economia, nessun vero piano per lo sviluppo dei commerci. Naturale che al primo sentore di tracollo economico, a migliaia tentino fortuna altrove. Prima di diventare pontefice, padre Jorge Mario Bergoglio durante un’omelia a Buenos Aires disse che «non bisogna combattere i poveri, ma la povertà». Vale anche per i migranti.
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