Dottoressa Molfetta, l’Italia negli ultimi anni fa i conti con gli arrivi massicci di migranti provenienti dai paesi dell’Africa. E, nonostante sia trascorso del tempo, viviamo come se fossimo sempre in emergenza. L’Italia, secondo lei, è un Paese davvero pronto all’accoglienza di questi oramai continui flussi migratori?
«L’Italia è un paese che a lungo non si è strutturato per essere pronto a gestire flussi migratori consistenti, nè a saper valorizzare e mettere in circolo le risorse delle persone che arrivano; ma diciamo che negli ultimi due anni sta provando a fare un lavoro più sistematico per uscire dall’impreparazione. E ciò almeno nella gestione dei flussi misti di persone che arrivano via mare e che includono un numero elevatissimo di potenziali richiedenti asilo, cioè persone in fuga da situazione di gravi violazione dei diritti umani e di violenza generalizzata, di cui sicuramente una via principale di fuga passa dal Nord Africa, raccogliendo però anche le persone in fuga dal Medioriente. Se guardiamo infatti alle nazionalità delle persone arrivate via mare dal Nord Africa in Italia nel 2014 notiamo che le nazionalità più frequenti non sono solo di africani (eritrei, somali, libici, maliani, ghanesi, nigeriani), ma anche di persone in fuga dalla Siria, dal Pakistan, dall’Afganistan, dall’Irak».
Lei da anni si occupa soprattutto di profughi, rifugiati e richiedenti asilo. I migranti che arrivano in italia e chiedono il riconoscimento dello status, spesse volte attendono anche anni. Cosa c’è che non va, secondo lei, in questo sistema? e cosa va rivisto o cambiato?
«La procedura per la richiesta di asilo deve essere breve, così come la legge prevede e non subire i ritardi a cui invece assistiamo. Le persone che fanno domanda d’asilo dovrebbero entro sei mesi avere una risposta dalle commissioni territoriali che sono l’organo competente a riguardo. ma adesso può passare anche più di un anno prima che vengano sentiti e nel caso in cui abbiano dalla commissione un primo esito negativo hanno diritto a un primo livello di ricorso. Ma, anche qui di nuovo a causa della nostra lentezza, i tempi per avere una risposta dal tribunale possono diventare molto lunghi. per cui ci sono persone che prima di avere una risposta dalla commissione e dal tribunale aspettano quasi due anni o più ancora. Questi tempi dovrebbero essere molto più brevi, entro 6-8 mesi massimo bisognerebbe arrivare a essere in grado di dire a una persona che fa domanda d’asilo se la sua richiesta è fondata o meno».
L’esperienza di Torino e del Piemonte mette in luce quanto l’associazionismo e il volontariato possano contribuire attivamente a processi di inclusione sociale per i migranti. Cosa si può fare, in questi termini, in altri territori, ad esempio in Sicilia?
«L’associazionismo e il volontariato sono importanti, ma lo sono anche la trasparenza e la professionalità degli enti che in prima battuta sono incaricati o dall’ente locale o dalle prefetture di occuparsi della prima accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati e che devono saper fare correttamente quanto serve alle persone per essere messe nella condizione di iniziare una nuova vita in Italia. Se c’è infatti trasparenza e chiarezza sull’utilizzo dei fondi destinati all’accoglienza delle persone e ai servizi che devono essere loro offerti, diventa facile coinvolgere anche i volontari e le associazioni di un territorio in un percorso virtuoso e gratificante per tutti. In mancanza di trasparenza e professionalità invece i volontari si possono trovare nella condizione di supplire alle carenze dell’ente gestore o dell’ente locale in un sistema che al contrario porta alla confusione e può diventare controproducente per tutti».
Il mare, chi scappa dall’Africa, i morti, le operazioni di controllo con l’impiego di mezzi militari, i viaggi della speranza. Il Mediterraneo è un mare senza più pace. Cosa l’Italia e l’Europa possono e devono fare?
«l’Italia, l’Europa sanno benissimo che la maniera di togliere finalmente di mano ai trafficanti umani le persone disperate che devono fuggire da un paese e da un contesto che non garantisce più loro la vita ma anche anzi la mette a repentaglio sarebbe aprire dei canali umanitari che dessero la possibilità alle persone che devono scappare di arrivare in maniera legale in Europa o in un altro paese occidentale dove si reputano almeno sicure. Ma se non si fa questo, o non si mettono procedure diverse da quelle attuali, ai migranti non resta altro che consegnarsi ai trafficanti umani e intraprendere attraversamenti del deserto con mille violenze e, da ultimo, imbarcarsi su carrette del mare per approdare sulle coste siciliane. In tutto ciò i trafficanti lucrano grandi profitti, mentre i migranti che scampano alla morte nel deserto o in mare pagano prezzi inaccettabili e insostenibili non solo in termini finanziari ma, soprattutto, sul piano fisico e morale».
Max Firreri per Condividere
CHI E’ MARIA CRISTINA MOLFETTA
Maria Cristina Molfetta è un’antropologa culturale attiva nel mondo della cooperazione internazionale dal 1992. Ha operato in diversi campi profughi in paesi limitrofi o direttamente interessati da conflitti (ex Jugoslavia, centro e sud America, aree tribali al confine tra il Pakistan e l’Afganistan, West Darfour in Sudan e nel Kurdistan irakeno). Da quando è tornata in Italia nel 2008 collabora con la Migrantes di Torino ed è la referente della rete piemontese “Coordinamento non solo asilo” che aderisce alla rete nazionale “Europasilo”. È una delle redattrici del sito “Vie di Fuga” e del rapporto sulla protezione Internazionale in Italia che è uscito a novembre 2014 ed è frutto della collaborazione tra Fondazione Migrantes, Caritas Italiana, Cittalia, Anci, Sprar e Unhcr.