Scrutare dentro le celle, i corridoi, lasciati vuoti dai detenuti trasferiti in un’altra più moderna struttura. E vivere, con l’emozione degli occhi che guardano le foto, quegli spazi che per decenni hanno accolto detenuti per reati più o meno gravi. Attraverso la mostra “Il Castello invisibile” si svela la vera essenza del castello di San Giacomo di Favignana, trasformato da “pezzo” d’archeologia e di storia a luogo di detenzione. Ventisei gigantografie che rimarranno esposte sino al 6 gennaio 2013 presso il chiostro del Seminario vescovile di piazza della Repubblica a Mazara del Vallo, grazie alla collaborazione fra la Fondazione Buttitta di Palermo e il Ce.M.S.I., Centro Mediterraneo di Studi Interculturali di Mazara del Vallo (presieduto dal Vescovo monsignor Domenico Mogavero).
Le immagini in bianco e nero sono state realizzate nell’autunno 2011 dai palermitani Bebo Cammarata e Renato Pantaleo che – su un progetto della Fondazione palermitana – sono entrati nel carcere di Favignana dopo un mese dal trasferimento dei detenuti nell’attigua nuova struttura. Le foto raccontano questi piccoli spazi ma, anche, le storie svelate di uomini costretti alla galera che sui muri esprimono emozioni, desideri e, forse, anche l’amore per chi, oltre quel muro, li ha voluti bene.
«Ora il Castello di San Giacomo assume il ruolo di custode di memorie che vanno ben oltre la storia del manufatto architettonico – spiega Monica Monica Buttitta – e diviene simbolo di un passato da ricordare e risorsa per un futuro da costruire. Le foto sono una magnifica raccolta che svela brandelli di memoria delle vite nascoste e custodite per anni, talora per decenni, dietro un maestoso muro in cemento armato». «Entriamo, così, nel mondo del carcere, sconosciuto ai più, nel quale è presente una umanità assai composita, la cui interiorità e relazionalità è testimoniata espressivamente attraverso inquadrature efficacissime che scolpiscono identità, stati d’animo e percorsi psicologici e spirituali variamente tormentati, scrive il Vescovo nel catalogo.
Il messaggio affidato agli oggetti, alle scritte, ai murales (come nella foto che ritrae la testimonianza di una persona di lingua araba), prescinde dall’interlocutore, nel senso che non si interessa se ci sarà o meno un lettore che raccoglierà quella memoria. Ciò che conta è, invece, la volontà di svelare il proprio animo per sentirsi così ancora un uomo, cioè un essere pensante portatore di speranza, che ha bisogno di dire se stesso al proprio simile per continuare a vivere. La fantasia dei visitatori della mostra è sperabile che dia un volto agli ignoti detenuti, liberandoli non solo dalla costrizione della reclusione, ma soprattutto dall’oblio liberatorio di chi, stando fuori dalle mura del carcere, vorrebbe cancellarne definitivamente la memoria per vivere senza l’angoscia della coabitazione con i malfattori di ogni tempo».
La mostra rimarrà aperta sino a domenica 6 gennaio. Giorni d’apertura: 28, 29 dicembre (dalle 10 alle 12,30 e dalle 16 alle 22) – 2, 3, 4, 5 gennaio (dalle 10 alle 12,30, il mercoledì, venerdì e sabato anche dalle 16 alle 22). Il 1°gennaio e il 6 gennaio, apertura dalle 18 alle 22. Ingresso libero.