Da Partanna a Palermo lungo un percorso espositivo che il curatore Bruno Corà ha pensato per raccontare l’artista Antonio Sanfilippo. Sino al 24 febbraio è aperta la mostra “Antonio Sanfilippo. Segni Forme, Sogni della Pittura. Cento Anni” promossa dal Comune di Partanna, con il sostegno del Dipartimento Regionale e dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, con la Fondazione Sebastiano Tusa, Fondazione Sicilia, Sicily Art and Culture, e in collaborazione con l’Archivio Accardi Sanfilippo di Roma. La mostra è articolata su siti diversi, a partire da Partanna. Si inizia dal villino di Scerbi (dove l’artista ha trascorso vacanze e il periodo dei bombardamenti a Palermo) che, con il ritrovamento del dipinto murale, fortemente sostenuto e voluto da Sebastiano Tusa, ha dato lustro a una ricerca fondamentale del linguaggio stilistico giovanile dell’artista (per le visite chiamare l’ingegnere Sieli, 3683572740). Poi si prosegue al Museo archeologico di Castello Grifeo (orario: 9-19,30) dove sono esposte le sue opere giovanili provenienti da collezioni private.
A Palermo, invece, al Museo regionale d’arte moderna e contemporanea di Palermo (orario: 9-18,30) e Villa Zito, sede della Fondazione Sicilia (orari: dal venerdì alla domenica, 10-19), sono esposte opere provenienti da istituzioni museali nazionali come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, la Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, il Mart di Rovereto, la Fondazione Prada di Milano e infine l’Archivio Accardi Sanfilippo di Roma, oltre a collezioni private. «Una mostra diffusa in rete per celebrare il maestro Antonio Sanfilippo e l’evoluzione del suo linguaggio che ha contrassegnato un cambiamento radicale nella produzione dell’arte negli anni ’60 in Italia e in Europa», spiega Valeria Li Vigni, presidente della Fondazione Tusa.
«Antonio Sanfilippo – afferma Corà – finissima personalità artistica esordita nell’immediato dopoguerra, esponente di una nuova generazione di artisti siciliani tra cui si distinguevano Pietro Consagra, Carla Accardi e Ugo Attardi, si dimostrava limpida vena immaginaria capace di concepire e visualizzare momenti, figure, spazi a lungo osservati e meditati nella propria terra, in forme archetipe, di più estesi richiami, nella coscienza individuale e collettiva, avviando quella nuova stagione di arte astratta italiana capace, dopo l’isolamento prodotto dal fascismo, di ricongiungersi alle più avanzate proposizioni dell’arte europea e internazionale».