[PASQUA TRADIZIONE ORIENTALE] Alle madri di Gaza: si può narrare il dolore?

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C’è modo di raccontare il dolore? La narrazione neotestamentaria dei giorni che precedevano la morte e la Resurrezione di Cristo nel corso della storia è stata rappresentata in molteplici forme di narrazione, da quella più tradizionale della scrittura classica a quelle definite artistiche per potere e carattere simbolico trascendentale come, ad esempio, l’iconografia e in particolar modo la musica liturgica e popolare. La drammaticità della Settimana Santa, o come viene chiamata nella tradizione orientale di rito bizantino la Grande e Santa Settimana, è densa della narrazione del dolore struggente della perdita terrena del Figlio di Dio. Il dolore della Madre di Dio viene in qualche modo rappresentato, illustrato da una poetica dei testi sacri delle ufficiature delle liturgie bizantine, che la musica ha reso particolarmente esclusivo.

Il Venerdì Santo, uno dei giorni più solenni e significativi del ciclo liturgico bizantino, celebra la Passione di Cristo, il suo sacrificio sulla Croce per la salvezza dell’umanità. Una delle caratteristiche più distintive di questa giornata nella tradizione bizantina è la celebrazione degli Enkomia (ἔγκομια), canti e lodi solenni che esprimono la bellezza, il mistero e il significato della morte di Gesù, ma che rappresentano anzitutto il dolore, quel dolore inenarrabile di una Madre che perde suo Figlio. La sedicesima strofa della III Stasi degli Enkomia O mia dolce primavera (Ὧ γλυκύ μου ἔαρ) – è diventata celebre anche nel mondo occidentale grazie a una storica produzione di Vangelis. O! Gliki Mou Ear è un brano di una indescrivibile intensità emotiva, reso famoso dall’interpretazione di Irene Papas e dalla straordinaria elaborazione musicale di Vangelis. Un canto liturgico che viene eseguito durante le celebrazioni pasquali del Venerdì Santo entra nella storia della narrazione teologica del dolore attraverso la musica quasi ipnotica della tradizione bizantina assumendone un carattere universale, poiché appartenente sia alla Chiesa Ortodossa che a quella Cattolica di rito greco.

Il titolo, che in greco significa O mia dolce primavera, richiama il dolore della Vergine Maria nel piangere la morte del Figlio sulla Croce. Il testo ha una forte carica simbolica, esprimendo il lamento per la perdita e al tempo stesso la speranza della resurrezione. O! Gliki Mou Ear è un perfetto esempio di come la musica sacra possa trascendere le epoche, unendo la spiritualità dell’antico canto liturgico a una sensibilità sempre attuale. Un’esperienza sonora sacra, capace di toccare profondamente le corde di chi si pone in ascolto. Un brano struggente, mistico e senza tempo, che esalta la bellezza della tradizione musicale bizantina e mediterranea. Mentre in tutto il mondo cristiano viene celebrata e rievocata la Passione di Cristo attraverso la “Via Crucis”, anche a Trapani e non solo, viene elevato al cielo il canto della Matri dulurusa che nel contesto culturale mediterraneo è assolutamente assimilabile alla Gran Madre di Dio che piange il Figlio morto, proprio come oggi, a Gaza, madri piangono figli di Dio.

Gli Enkomia nella straordinaria capacità narrativa del dolore riflettono la morte di Cristo come atto salvifico che non solo riconcilia l’umanità con Dio, ma che trasforma la Croce in un simbolo di gloria e speranza, anticipando la gioia della Resurrezione, la vittoria assoluta e finale di Dio sul peccato e sulla morte. La musica bizantina, ricca e mistica, è narrazione del dolore accentuandone la speranza che attraversa questi canti. La partecipazione attiva dei fedeli, attraverso la lettura, il canto e la meditazione sui testi, diventa esperienza spirituale completa, e patrimonio per le generazioni future dove mai tramonta la bellezza della dolce primavera.

Nicoletta Borgia per Condividere

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