[RIFLESSIONE] In cammino verso la Pasqua/3: Non si può essere buoni per forza

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Nel Vangelo di questa domenica terza di Quaresima (Gv 2,13-25) Gesù mostra un volto severo e un comportamento inflessibile: caccia dal tempio senza accettare scusanti quelli che hanno profanato il luogo sacro, trasformandolo in mercato. Ricorre alle maniere dure con una frusta, rischiando di farsi prendere per pazzo; ma nessuno sa o può resistergli. Neanche i discepoli si rendono conto subito di quanto sta accadendo. Solo dopo la Pasqua comprenderanno appieno il gesto e le parole.

Se ci fermiamo un momento e confrontiamo il volto di Gesù sul Tabor, contemplato domenica scorsa, e il volto indignato di oggi nella casa del Padre suo sicuramente non possiamo pensare a uno sdoppiamento di personalità. Dobbiamo, invece, ammettere che il buonismo non è la cifra con la quale leggere la figura e la missione del Messia. Gesù non intende essere buono a qualunque costo, ma assume di volta in volta l’atteggiamento più consono alla situazione nella quale viene a trovarsi. In particolare egli si presenta accogliente e benevolo quando vede nell’interlocutore un’apertura di cuore e il desiderio di guarigione del corpo o dello spirito. Nel tempio egli incontra persone che gestiscono unicamente i loro affari, incuranti non solo della santità del luogo, ma anche della natura strumentale del loro servizio. Egli non ha nessuna incertezza nel difendere il suo operato di purificazione della casa del Padre suo, avvalorando la sua azione con il segno provocatorio ma profetico della ricostruzione del suo corpo, tempio nuovo di Dio. I presenti non capiscono e neanche i discepoli, in verità, che ricorderanno quell’affermazione solo dopo la risurrezione. In quel contesto Gesù non ce la fa a essere tollerante e dà una bella lezione nei confronti di quanti, in ogni tempo, si fanno mercanti del sacro.

Alla fine del brano odierno c’è un’altra circostanza che sorprende e fa riflettere. L’evangelista annota che quanti vedevano i segni che Gesù compiva credevano in lui; ma egli di questo non si rallegrava affatto. Anzi, «non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo» (vv. 24-25). Ancora un tassello rivelatore della personalità del Maestro, che sa essere anche guardingo e diffidente nei confronti di coloro che si lasciano trasportare solo dall’entusiasmo per i prodigi di cui erano stati spettatori. Un altro richiamo forte per quanti sanno applaudire quando il vento gira dalla parte del successo, pronti però a schierarsi contro quando cambia l’aria. Forse Gesù tra quegli infervorati intravedeva già quanti avrebbero gridato: crocifiggilo, preferendogli Barabba? Non si può scandagliare il mistero del suo cuore, ma certamente la conoscenza della nostra volubilità lo ha difeso da facili illusioni.

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