[SPECIALE PASQUA/1] Quell’olio, simbolo di ricchezza e benessere, che raffigura la dolcezza dell’amore tra i fratelli

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Il memoriale della morte e risurrezione del Signore, cuore dell’anno liturgico e radice della vita cristiana, si distende nel solenne Triduo Pasquale, quando la santa Chiesa si raduna per celebrare, con gioia e trepidazione, il mistero della nostra salvezza. Precede, al mattino del giovedì, la “Messa del crisma”, con la benedizione degli oli santi, segno dell’abbondanza dei doni dello Spirito e della consacrazione del popolo santo di Dio. Non è dunque sul sacerdozio ministeriale che la celebrazione crismale si concentra, ma sull’unzione dello Spirito, che consacra Messia il Figlio di Dio e ci rende partecipi della sua consacrazione (cfr Preghiera di Colletta). Ѐ qui che s’innesta il sacerdozio dei presbiteri.

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Ad essi il Vescovo chiede di rinnovare le solenni promesse fatte al momento dell’ordinazione: vivere all’unisono con il Signore e confermare l’impegno di farsi servi dei propri fratelli, guidati non da interessi umani ma dall’amore per la propria comunità ecclesiale e l’intero popolo dei battezzati. Quel popolo su cui è spalmato l’olio, simbolo di ricchezza e di benessere, di forza per i deboli, di lenimento per chi soffre. Esso rallegra il cuore dell’uomo (cfr Pro 27,9); raffigura la dolcezza dell’amore tra i fratelli, disegnato nella delicata immagine dell’unguento prezioso versato sul capo di Aronne, che scende sulla sua barba e intride persino l’orlo della sua veste (cfr Sal 133,2); rimanda all’amore per la giustizia, nel soave poema d’amore dedicato al re, nel quale il salmista canta: «Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia[…]. Di mirra, aloe e cassia profumano tutte le tue vesti» (Sal 45,8-9). L’unzione è l’indelebile segno della scelta e della consacrazione, ed anche gesto di predilezione che impegna a una piena responsabilità.

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Perciò nell’Antico Testamento venivano unti quanti erano chiamati a compiti gravosi: i re, servitori del loro popolo; i sacerdoti, consacrati alla santità; i profeti, abilitati a proclamare con parresia la Parola del Signore. Dio sceglie Davide come re d’Israele e comanda a Samuele: «Alzati e ungilo: è lui! Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi» (1Sam 16,12b-13a). Al sacerdozio è chiamato Aronne insieme ai suoi figli: «Prenderai l’olio dell’unzione, lo verserai sul suo capo e lo ungerai […]. Il sacerdozio apparterrà loro per decreto perenne» (Es 29,7.9b). A Elia Dio chiede: «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto» (1Re 19,16b). Si tratta di un unguento pregiato, il cui profumo si spande dappertutto, come pregiato è il nardo con il quale Maria di Betania unge i piedi del Signore (cfr Gv 12,3) o la mirra e l’aloe con cui Nicodemo unge il corpo di Gesù dopo la sua morte (cfr Gv 19,39). Sono i balsami pregiati di cui parla il libro dell’Esodo: la mirra dell’amarezza, il cinnamomo dell’intimità sponsale, la canna aromatica della fragranza permanente, la cassia dell’umiliazione, l’olivo della fermezza (cfr Es 30,22-25). Con quell’olio profumato, impregnato della forza dello Spirito, è segnato il capo del battezzato, consacrato, a somiglianza del Cristo, sacerdote, re e profeta. Grazie a quel santo crisma siamo diventati popolo di Dio: «Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo […]. Siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,4-5.9; cfr Es 19,6; Dt 7,6; Ap 5,10; LG n.10). Possiamo in tal modo invocare, con le parole conclusive della celebrazione, «Concedi, o Dio onnipotente, che, rinnovati dai santi misteri, diffondiamo nel mondo il buon profumo del Cristo. Egli vive e regna nei secoli dei secoli».

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LA MESSA IN COENA DOMINI

Memoriale del dono dell’eucaristia è la messa in coena Domini al vespro del primo giorno del triduo: «Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa», canta il prefazio. E la liturgia della Parola proclama Cristo  vero agnello. Egli è prefigurato dall’agnello dell’Esodo immolato al tramonto, il cui sangue, sparso sugli stipiti delle porte e sugli architravi delle case, salva i figli d’Israele dal flagello dello sterminio (cfr Es 12,6b-7.12-13). Ѐ la Pasqua del Signore! «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). E di generazione in generazione è consegnata la traditio fidei, memoriale del più grande segno d’amore, come narra l’Apostolo Paolo: il pane spezzato è il corpo del Signore, nuova alleanza è il calice del suo sangue (cfr 1Cor 11,23-26).

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Il testo del Vangelo ci sorprende. Non il racconto dell’istituzione dell’eucaristia, riportato in tutti e tre i sinottici, ma la narrazione di un profondo gesto di carità: l’amore s’inchina fino a lavare i piedi dell’amato. Ѐ la consegna che Gesù dà ai suoi: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13,13-14). La comunione del pane spezzato si fa comunione fraterna e la carità si esprime nell’umiltà e nel servizio reciproco. L’assemblea liturgica ripete quel gesto, cantando con gioia «ubi caritas est vera, Deus ibi est».

Erina Ferlito

LEGGI QUI L’OMELIA DEL VESCOVO PER LA MESSA CRISMALE

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