Oggi, proprio oggi, un mio vero amico fraterno sacerdote ha ricevuto la notizia dai suoi medici oncologi che smettono di fargli la chemio e passano alla terapia palliativa perché il suo fegato non sopporta più la cura; poi mi ha stretto le spalle e mi ha chiesto guardandomi dritto negli occhi: facciamo insieme questo mio ultimo tratto di strada? Mi aiuti a prepararmi a questo ultimo momento della vita e della morte? E io cosa avrei potuto rispondere? Né il sì né il no bastavano! È l’unica domanda a cui l’espressione del Vangelo «il vostro parlare sia sì sì e no no, il resto viene dal maligno» non basta, perché qui si tratta del «con me» detto da Gesù al Buon ladrone, ma inteso no nell’eternità dell’oggi del Paradiso, ma nel dramma del tempo che si orienta al morire, alla fine.
«Li amò sine alla fine» e «oggi sarai con me», presi rispettivamente per Gesù dal Vangelo di Giovanni prima della lavanda dei piedi e da quello di Luca prima della sua morte in croce, sono il senso di questo tempo difficile che mi è chiesto di condividere come fraternità che accompagna, come amicizia evangelica che non abbandona, come preghiera che prepara, come amore che rimane fino alla fine, come pianto dell’amore che diventa dolore. Ecco il momento più forte dell’amore umano: la gratuità di un amore, che l’amato non può corrispondere perché morto, spinge fino al dolore. Dolore per l’amato che non è più. Amore che è stato amato e che ora non lo può essere più. Non perché tradito, non perché rifiutato, non perché abbandonato, solo perché l’amato non può più amare. Qui si aprono due vie all’amore-dolore: la memoria, il fare memoria, perché l’amato che non è più è ancora amato; lo sperare, la speranza di rivederlo perché l’amato che non è più del Padre, ovvero il Figlio morto, il Padre lo ha risuscitato, lo ha reso amato per sempre vivente.
L’Amato, in Dio, è il Vivente! Il Vivente è la vita. La speranza allora che la vita del mio amato che non è più sia la stessa vita che è il Vivente mi permette di amare oltre la morte dell’amato e di desiderare e di sperare di vederlo di nuovo. L’amore diventato dolore, oltre la memoria, diventa attesa, speranza, domanda, preghiera. Quando, in questi giorni di celebrazione comunitaria e culturale, torneremo tutti a ricordare i nostri morti, a fare visita alle loro tombe, a raccontare ai nipoti di nonni che non ci sono più, pensiamo a come in Dio stesso la morte dell’Amato sia diventata il luogo del legame eterno tra l’Amato e la vita, il Vivente, e facendo memoria con dolore facciamo diventare il suo nome di amato, non importa se sposa, fratello, nonno, amico, la nostra preghiera e la nostra domanda: dov’è mio fratello? Perché io voglio vederlo di nuovo. Tutto per noi è la risurrezione del Vivente.
don Vito Impellizzeri per Condividere
Preside Facoltà Teologica di Sicilia