Gesù nella sua passione non si presenta unicamente come Figlio di Dio che porta a compimento la missione che il Padre gli aveva affidato, ma mostra tutta la sua umanità. «Ecco l’uomo!» (Gv 19,5) è l’espressione che Pilato usa nel presentarlo ai suoi accusatori e carnefici. Ma cosa resta di questo uomo calpestato nella sua dignità, deriso, percosso, schiaffeggiato e umiliato, Lui che aveva riscattato la vita di tante persone dalla loro condizione di schiavitù, di peccato e di morte?
Come uomo ha sperimentato il tradimento di uno dei suoi discepoli, Giuda Iscariota. Come uomo ha subìto il rinnegamento da parte dei suoi compagni, in modo particolare di Simon Pietro che aveva giurato di dare la vita per Lui (cfr Mc 14, 31). Come uomo ha vissuto l’esperienza della solitudine, lasciato da solo in un momento tragico della sua vita; gli apostoli, scappano, fuggono, presi dalla paura di essere anche loro uccisi insieme al Maestro (cfr Mc 14,50). Come uomo ha sperimentato la paura della morte: «la mia anima è triste» (Mc 14,34). Come uomo ha conosciuto la drammaticità dell’abbandono del Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34b). Come uomo ha constatato l’atrocità del dolore e al contempo la cattiveria disumana.
La passione di Gesù coinvolge non soltanto Lui, ma anche Dio Padre, la beata Vergine Maria e noi. Nessun padre rimarrebbe impassibile di fronte al proprio figlio che viene maltrattato, torturato e infine ucciso. Per istinto naturale qualsiasi padre avrebbe dato la sua vita per salvare quella del figlio. Non oso immaginare quanto è costato a Dio non agire a favore del Figlio per rimanere fedele al suo piano di amore e di salvezza verso l’umanità intera. La creazione, infatti, riflette la drammaticità del dolore incommensurabile del Creatore che soffre terribilmente per la morte del suo Unigenito Figlio: «quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio» (Mc 15,33) e «la terra tremò, le rocce si spezzarono» (Mt 27,51b).
Per una madre sperimentare la morte di un figlio è contro natura. La sua sofferenza coinvolge le sue viscere, quello stesse viscere che avevano dato alla luce la propria prole. Quanto straziante è stato il dolore vissuto dalla Vergine Maria. Quante lacrime ha versato sotto quella croce volgendo lo sguardo sul suo amato Figlio. La sua anima e il suo cuore sono state trafitte da quella spada profetizzata dal vecchio Simeone (cfr Lc 2,35).
Anche noi, oggi, come figli redenti e riscattati dal sangue di Cristo, siamo invitati a contemplare la passione di nostro Signore Gesù Cristo. Siamo chiamati a rimanere, insieme a Maria, al discepolo amato e ad alcune donne presenti, sotto la croce del Figlio dell’uomo. Siamo interpellati dallo Spirito a volgere il nostro sguardo sulle sue ferite, sul suo corpo martoriato, sulle sue mani e sui suoi piedi forati dai chiodi, sul suo fianco squarciato, sul suo viso che era talmente sfigurato «per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo» (Is 52,14b). Gesù, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44,3a), adesso «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere» (Is 53,2).
La Parola inchiodata su quella croce chiede all’uomo di non proferire nessuna parola, nessun commento. Di fronte alla morte di una persona cara, di un familiare le parole umane balzano nel vuoto e lasciano lo spazio alle lacrime e al silenzio. Davanti alla morte di Gesù crocifisso la Chiesa sapientemente ci invita al silenzio contemplante e fecondo. Si, un silenzio che conduce ognuno di noi ad accogliere quella Parola dormiente, posta nel grembo della terra, e che desidera germogliare e crescere nella nostra vita di figli amati dal Signore. Viviamo pienamente questo silenzio orante che ci accompagna fino alla luce dirompente e alla gioia festosa della Veglia Pasquale.
LA RIFLESSIONE/1 DEL GIOVEDI SANTO
LA RIFLESSIONE/2 DEL GIOVEDI SANTO