[VERSO PASQUA/1] Domenica delle Palme, ouverture del poema sinfonico trinitario

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Se solo riuscissimo a sgomberare mente e cuore dal trambusto che inevitabilmente provoca l’organizzazione del rito processionale di questa Domenica delle Palme, o di “Passione”, ci si svelerebbe intatto il nucleo della drammaturgia salvifica che in essa si rivela come anàmnesis sacramentale della kénōsis divina giunta al suo estremo compimento, al necessario epilogo dello scandalo impensabile e indicibile dell’Incarnazione.

La processione delle Palme non è azione drammaturgicamente allusiva a un momento glorioso della vita di Gesù, uno dei pochi o l’ultimo; allude, semmai, e con accenti peculiari, alla Teodrammatica che trova in Cristo Signore, previsto da Isaia nel terzo carme del “Servo del Signore”, una nuova forma di valutazione della Gloria rispetto a quella umana: la sofferenza non più come segno di reiezione ma di elezione, la morte non più come sconfitta ma vittoria. E non si sa con quanta consapevolezza si possano reggere in questo giorno palme tra le mani; palme che inneggiano al martirio e ne simboleggiano adesione gioiosa, per cui, nel regime di verità dei segni, il rimando al sacrificio eucaristico che segue la processione senza soluzione di continuità è coerente con la discorsività liturgico-sacramentale che ci vuole completamente assimilati all’Agnello del nostro riscatto.

Betlemme: Basilica della Natività, i mosaici restaurati.

Siamo dunque convocati alla scuola sapienziale della liturgia quale riflesso della pedagogia divina; della liturgia in quanto “teologia prima”. Per tutta la quaresima, orientati da Luca, abbiamo seguito il dirigersi deciso di Gesù verso Gerusalemme. Ora, col suo ingresso in città, le ovazioni di giubilo e gli “osanna” costituiscono soltanto l’inconsapevole popolare menzogna ignara di contraddire la verità, nell’incapacità di coglierne il senso reale. In realtà Gesù è giunto alla meta verso la quale, nella redazione lucana, si era proiettato “decisamente” (letteralmente: “rese dura la sua faccia” Lc 9, 51) e si sta incamminando verso il punto più basso del suo annientamento, quello descritto da Paolo nell’inno liturgico di Fil 2, 6-11 che è chiave ermeneutica delle letture di questa Messa.

Il termine ekénōsen usato da Paolo viene da kenóō, che, appunto, significa “svuotare”. Il regno che Gesù sta varcando ha per consistenza kenós, che significa “vuoto”: tradimento, angoscia mortale, assenza di Dio, strazio carnale, agonia, morte. Ed è qui che Gesù tocca in sé l’universale dell’uomo elevandolo all’ennesima potenza: nessuno è così solo come Gesù lo fu.

In realtà Gesù sta “svuotando” sé stesso per corrispondere al progetto salvifico del Padre. Luca è in forte sintonia con Paolo perché legge quella “decisione” funzionale al compimento dei giorni «in cui sarebbe stato elevato in alto» (Lc 9, 51); eco narrativa dell’esclamazione paolina: «per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9). Siamo di fronte all’abissale asimmetricità della salvezza di Dio che contraddice ogni logica o aspettativa umana. La Domenica delle Palme rappresenta l’Ouverture del poema sinfonico trinitario che si concluderà con la gloria della Risurrezione. Poema cantato dalla liturgia con i suoi strumenti simbolici che devono interpretare fedelmente tale sublime partitura. E come per ogni opera sinfonica che si rispetti c’è una esposizione del tema, il suo sviluppo, la sua ripresa, la sua metamorfosi conclusiva.

Betlemme: Basilica della Natività, i mosaici restaurati.

 

La domenica di “Passione” si apre con il leitmotiv che attraverserà tutta la Settimana Santa: il “Servo sofferente” che il Secondo Isaia descrive con i toni angosciati del Geremia cantore della “Nuova Alleanza”. Il servo si presenta come uomo della Parola, profeta che lancia il messaggio di Dio agli “sfiduciati”. Sua caratteristica è la sofferenza. È percosso come uno stolto, lui, il sapiente per eccellenza, perché portavoce della Parola. Il cristiano scopre così nel suo Redentore crocifisso la misteriosa fecondità del dolore e della morte. La passione-morte dice annichilimento, “condizione di servo”, Dio velato e silente ma non messo a tacere. La sua Parola è vita e il suo Spirito vivificante; e Paolo usa lo “schema verticale”, tanto caro anche a Giovanni, per cui la Pasqua di Cristo è vista come movimento ascensionale dall’umiliazione all’esaltazione. Veramente le folle acclamavano con palme al loro re, ma un re che non conoscevano, che non immaginavano.

Dall’oscurità dell’umanità, della carne assunta da Cristo e trasformata nella sua integralità, compresa l’esperienza limite della morte, verso la luce della liberazione, della nuova umanità, della nuova creazione, del nuovo Regno. La kénōsis assume pertanto carattere di necessità in quanto asserisce la natura di Dio. Il mistico filosofo danese Søren Kierkegaard può pertanto affermare: “Dio non esiste, Egli è l’Eterno”. La kénōsis rivela Dio come “ni-ente”, cioè non ente! Dio non è un ente ma la pienezza dell’Essere. Ed è solo per l’annientamento del Cristo suo Figlio che l’umanità può passare dall’imperfezione dell’entità alla pienezza dell’Essere.

Oggi seguiamo il racconto della passione di Gesù secondo Luca, che è impostata secondo una prospettiva personale-morale: seguendo Gesù sulla “via” su cui si è incamminato, sulla via di sofferenza e morte, il discepolo è invitato ad un’adesione personale ed esistenziale; un appello alla vocazione a seguire Gesù anche al limite estremo della donazione. E qui troviamo un altro motivo conduttore della sinfonia della redenzione, quello dell’amore per la vita. L’annuncio pasquale è un annuncio di vita. Il Vangelo non ridotto a teologia o a dottrina, ma vissuto come esperienza densa dei suoi contenuti, è un inno alla vita. La Risurrezione del Signore è già insita nella sua Passione, la sua gloria attraversa già il suo dolore, la kénōsis è primigenia fonte di pienezza.

L’amore entra nella totale negatività e diventa l’inizio della vita che non sarà soffocata, perché si fida del Dio vivente. Al discepolo che contempla Gesù crocifisso viene perciò dato il modello esemplare di questo amore confidente che si manifesta soprattutto col perdono. Luca, attraverso questa prospettiva, mette in luce l’efficacia del sacrificio di Cristo: la Croce di Cristo trasforma il mondo attraverso la conversione e il perdono. Si spalancano così per noi le braccia dell’amore misericordioso per il perfetto abbandono tra le mani di Dio espresso con le ultime parole di Gesù: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». È il compimento che consiste in una nuova genesi.

don Leo Di Simone per Condividere

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