Presidente Taschetta, gli agricoltori siciliani stanno protestando perché non ce la fanno più. Tutto questo era prevedibile, oppure è successo senza che nessuno si è accorto negli anni delle problematiche? 

«Sono convinto che ognuno di noi finisce la dove è diretto. È da tempo che continuo a dire in tutte le sedi possibili che la situazione è al collasso e che se non si cambia rotta finirà male. I produttori non riescono più a far quadrare i conti e nessuno può continuare a produrre in perdita. Si sono persi oltre 40.000 ettari di vigneti negli ultimi venticinque anni; se non cambia la situazione se ne perderanno tantissimi altri nei prossimi cinque anni». 

In provincia di Trapani la vitivinicoltura ha accusato una batosta dopo l’altra. Prima la peronospora poi la siccità. Gli invasi sono quasi vuoti e l’acqua, spesso, si butta a mare. Come definisce questa situazione? 

«Sembra la “tempesta perfetta” fatta per distruggere tutto, una specie di accanimento che sta minando seriamente il morale della gente. Non capisco come si possa ancora negare il cambiamento climatico. Quando ero ragazzino raramente si verificavano attacchi seri di peronospora, bastava qualche trattamento e si arrivava facilmente a produzione; adesso diventa sempre più difficile, servono più trattamenti e spesso senza grandi risultati. L’acqua sarà la madre di tutte le battaglie, noi oltre a qualche preghiera possiamo fare poco per fare piovere, ma possiamo fare molto per imbrigliare l’acqua che arriva e distribuirla quando serve. Purtroppo per troppi anni si è trascurato questo aspetto e adesso sarà dura riuscire a recuperare il tempo perduto. Se non pioverà rischiamo di andare a finire nei libri di storia per una delle catastrofi peggiori mai vissute da questo territorio». 

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Secondo lei quali manovre si possono mettere in campo per risolvere la crisi che fa soffrire l’agricoltura? 

«Il problema è complesso e non esiste una soluzione semplice. Servono un insieme di misure che coordinate in dei progetti di lungo termine possano portarci a situazioni migliori. Occorrono aiuti per mantenere in vita gli agricoltori; se uno sta annegando devi lanciargli il salvagente, dopo puoi pensare al corso di nuoto. In questo contesto si inserisce la richiesta della vendemmia verde. Nessuno spero, pensa che possa essere la soluzione; ma in questo contesto può far arrivare velocemente un po’ di liquidità nelle casse dei produttori. Sarà importante mantenere basso il quantitativo disponibile per azienda, in modo da dare a più produttori la possibilità di accedervi. Occorre un serio piano delle acque che cerchi in tutti i modi di rendere irrigabile la gran parte del nostro territorio. Spero ci si renda conto che non possiamo rischiare di far trovare il deserto a tutti coloro che attraverseranno il ponte sullo Stretto per arrivare in Sicilia». 

All’agricoltore non si riconosce il giusto valore del suo lavoro e così si rischia di generare un abbandono delle terre. Che fare? 

«Nessuno può pensare che si possa continuare a produrre in perdita, ma dobbiamo avere chiaro che il danno dell’abbandono non sarà solo per i produttori. Noi generiamo un’economia di prossimità; se la gente va via si rischia un vero spopolamento che farà diventare ancora più povero un territorio già martoriato da un’infinità di problemi. Occorre pensare a una figura di agricoltore custode del territorio, altrimenti rischiamo di ritrovarci immersi in un deserto di pannelli fotovoltaici, in una specie di centrale elettrica dove non credo che la gente avrà voglia di venirci in vacanza. Prima o poi sarà necessario mettere mano a delle regole che limitino lo strapotere della grande distribuzione che decide i prezzi senza tenere conto dei costi di produzione. In generale quando qualcuno ha grossi vantaggi competitivi, è portato a usarli e ai più deboli non rimane che soccombere, o a ingegnarsi per diventare più forti». 

 

Lei più volte ha fatto appello alle istituzioni. Cosa si sente di dire oggi a chi sta al Governo nazionale e regionale? 

«Non ho la pretesa di avere una soluzione per ogni problema, preferisco concentrarmi sulle cose che riguardano il nostro settore. Qualunque scelta faremo sarà condizionata dalla capacità che avremo di rendere i nostri terreni irrigui. Ritengo pertanto che serva un piano delle acque in cui riversare la gran quantità di fondi per i prossimi vent’anni. Incentivare la capitalizzazione e le fusioni fra le aziende per renderle forti e capaci di affrontare i mercati mondiali; incentivare l’ingresso di manager nelle aziende; favorire investimenti in enoturismo e ricezione. È fondamentale uno studio attento per capire la fattibilità della creazione di marchi collettivi che identifichino il territorio. Tutte le aree famose del mondo sono ricordate per qualche loro peculiarità, e noi? E poi ancora: incentivare la produzione biologica e tutte le pratiche che assicurino una vera sostenibilità; fornire assistenza tecnica di alto livello che aiuti i produttori a raggiungere livelli qualitativi e quantitativi sostenibili; migliorare la viabilità nelle campagne, oggi è difficoltoso anche con i trattori recarsi nei campi. Poi per calmierare l’offerta ed evitare che la gente si venda i catastini, è opportuno allungare il periodo di scadenza dei diritti ad almeno 10 anni; questo permetterebbe di ridurre le produzioni senza perdere il patrimonio viticolo regionale, da poter utilizzare nei momenti in cui il mercato si stabilizzerà a prezzi più dignitosi. E ancora: investire con dei seri progetti di ricerca in campagna, nella parte enologica e soprattutto nel marketing. Paolo Coelho dice che non si annega se si va a fondo, si annega se si rimane sott’acqua. È un messaggio di speranza per la nostra terra; la Sicilia ha tutte le caratteristiche per diventare una terra di successo, ma è fondamentale mettersi in azione perché lo possa diventare».

Max Firreri

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