[CORONAVIRUS] I contraccolpi del lockdown fermano la cultura

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Siamo stati i primi a chiudere e saremo gli ultimi a riaprire. Noi lavoratrici e lavoratori dello spettacolo siamo i più colpiti dall’emergenza Coronavirus. Com’è noto i teatri e i cinema, luoghi di “assembramenti” per eccellenza, sono stati chiusi all’istante. Ricordo benissimo quel 4 marzo quando, in piena tournée dei “Sei personaggi”, ci fu detto di rientrare ciascuno nelle proprie case. Quella fu la nostra ultima replica e col cuore gonfio di emozione recitammo col doppio dell’intensità, non sapendo quando – non lo sappiamo ancora – saremmo potuti tornare al nostro amato lavoro.

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Perché il teatro, come il cinema, è tante cose, ma è anche e soprattutto questo: un lavoro. Non è solo poesia e risate, ma è cosa concreta, come il pane, il denaro, le tasse e una vita dignitosa. Per tutto il territorio ci sono centinaia di set, teatri e compagnie, con migliaia di persone che recitano, dirigono, producono, cuciono, truccano, illuminano e costruiscono. Non è solo passione, ma una vera professione. Ed è meravigliosa, ma anche infelice e storta, perchè atipica. Chi sceglie di fare l’attore deve sapere che non avrà quasi mai una vita comoda. In Italia gli attori sono tra le categorie meno tutelate del mondo del lavoro.

Reddito intermittente, nessuna tredicesima, pochissime garanzie su malattia, maternità o ammortizzatori sociali. In troppi fanno fatica. Le ragioni sono certamente di ordine burocratico e strutturale – i contratti sono di alcuni mesi e l’atipicità della professione rende il lavoratore ricattabile e debole – ma sono anche di carattere politico e forse anche sociale. Politico: perchè i tagli feroci inferti alla cultura negli ultimi vent’anni hanno reso il teatro italiano tra i più sviliti e umiliati d’Europa. Sociale: perchè forse l’opinione pubblica italiana non sa o non comprende bene il nostro mestiere. Si pensa a un mondo dorato fatto di fama e lustrini o, al contrario, di stenti e capricci. In entrambi i casi di frivolezza e stravagante bizzarria. Quindi di meritata marginalità.

Ma non è affatto così. Il nostro mondo è fatto di persone e famiglie che lavorano duro e contribuiscono per il 6% al Pil nazionale; siamo moltiplicatore di economia, per ogni euro investito in cultura se ne producono almeno tre in indotto sul territorio. Sono studio, sacrificio, talento e bellezza. Impegniamo i nostri corpi e le nostre anime per il progresso culturale, spirituale ed economico della nostra società. E per questo pretendiamo che le istituzioni ci sostengano e ci rispettino: in questi molti mesi di inattività forzata e assenza di reddito; e tra un anno, quando torneremo – si spera – a intrattenervi e a farvi pensare. Per riparare agli errori del passato.

Rosario Lisma (attore) per Condividere

 

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