[CORONAVIRUS] Quando una democrazia si misura con la pandemia

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È più importante la vita, la salute o la democrazia? È possibile porsi questo dilemma ora e qui, in questa Italia percorsa dal più grave evento dopo la seconda guerra mondiale? Per dirla meglio, è possibile chiederselo durante la più grave crisi in cui l’Italia è precipitata nei suoi oltre settant’anni di vita democratica? Di primo acchito, la risposta è una sola. La vita. La vita di ciascuno e dell’intera comunità di coloro che, cittadini o non cittadini, vivono nel nostro Paese. Basta rifletterci per qualche minuto, però, per comprendere quanto sia sbagliata la domanda di partenza.

Dover scegliere tra la vita, la salute e la democrazia. Eppure è questo il dilemma che sembrano porsi in tanti, almeno nelle chiacchiere virtuali, tra i social e le lunghe ore passate al telefono per tenere saldi i legami tra le persone, gli amici, le famiglie divise in luoghi differenti. L’Italia è chiusa nelle piccole isole che le case rappresentano. Da oltre un mese, al Nord. Da quasi due settimane, nel resto del Paese. Chiusa, l’Italia trattiene il fiato, segue i bollettini quotidiani della Protezione civile, prova a difendersi con le regole che gli esperti hanno dato, obbedisce alle decisioni delle autorità. Prega. Ci vuole tempo, ancora tempo, in un tempo che a tutti appare lungo, sospeso, congelato.

E allora c’è chi chiede il coprifuoco, l’esercito, la chiusura totale (di cos’altro oltre quello che già è chiuso?). È una richiesta in malafede, di chi mesta nel torbido, di chi approfitta. Lo Stato democratico è un sistema a prima vista fragile, fatto di pesi e contrappesi, di equilibri delicati disegnati da chi aveva vissuto dittatura e guerra. Non si impone un coprifuoco in un sistema democratico che non sia entrato in guerra, e questa non è una guerra. È un’emergenza sanitaria, la battaglia contro un pericolo subdolo e indefinito. Lo Stato democratico sembra avere strumenti deboli, fatti di gradualità e composizione dei differenti interessi di individui, gruppi, parti sociali.

In questo, però, è la sua forza, strutturale e strategica: nel mettere assieme i cittadini (e anche i non cittadini) attorno a un sistema che rappresenta tutti. È per questa ragione, credo, che il senso di responsabilità è stato ed è così diffuso, da Nord a Sud. Senza distinzione di regioni e di origine sociale e culturale. Un Paese democratico di 60 milioni di persone è, nella quasi totalità, chiuso in casa perchè sa nel profondo che solo assieme si può uscire dalla crisi. È chiuso in casa perché pensa che lo Stato, lo Stato democratico, possa difendere ciascuno e tutti, senza fare differenze. Che in un ospedale non si facciano differenze tra i malati. Che lo Stato tutti rappresenta. Ed è per questo che la domanda iniziale non ha senso: la democrazia sceglie la vita.

Paola Caridi per Condividere

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