Il grido lacerante e inconsolabile della terra giunge fino a me, dice il Signore, Creatore dell’universo e di ogni essere vivente. Mi sembra di ascoltarlo ogni giorno questo messaggio divino, vedendo e sentendo lo scempio che si consuma su ogni angolo della nostra oltraggiata Sicilia. Ogni giorno è la stessa sequenza di un bollettino dolente di devastazioni che enumera e descrive il fronte dei fuochi che divorano ettari di vegetazione, frutto di fatiche lunghe e frustrate di piantumazione e coltivazione.
In poche ore si cambia il volto di pianure e alture, distruggendo la fatica di dare a esse un aspetto armonioso e godibile, rigeneratore del corpo con la purificazione dell’aria e dello spirito amante della bellezza. E ogni anno la conta dei danni, come un bollettino di guerra, si accresce di nuovi primati e, nello stesso tempo, della denuncia impotente dei molti nel condannare tanto scempio e nell’ostinazione di pochi sciagurati che continuano nel loro perverso proposito di procurare distruzione e morte. Eppure, quando Dio creò la terra, con la varietà degli alberi che producono fiori e frutti e ogni erba che orna e nutre, vide che aveva fatto qualcosa di molto bello e – ahimè – l’affidò all’uomo perché diventasse collaboratore dell’opera creatrice.
Si era fidato molto della sua creatura, che ben presto tradì il suo progetto. Fa senso e provoca una reazione di ribellione la visione di distese di quelli che una volta erano alberi che avevano sfidato venti e tempeste e ora mostrano moncherini anneriti su una coltre di cenere, che copre le ferite di una terra che piange le sue mutilazioni. Nessuno riesce a immaginare e a capire quale disegno infame e depravato può armare di fuoco una mano che, parafrasando la parola di Gesù («Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala» – Mc 9,43), sarebbe stato meglio fosse rimasta paralizzata! Ma sicuramente una qualche forma di giudizio e di condanna divina raggiungerà prima o poi questi strumenti del diavolo, che nell’ombra e nell’anonimato confidano di poter superare indenni la loro riprovevole condotta. Non si sentano più al sicuro e meno colpevoli, e perciò meno degni di esecrazione, quanti riempiono dei loro maleodoranti sacchetti strade urbane ed extraurbane.
Il loro disprezzo per gli altri e per la terra è avvertito da chiunque è costretto a muoversi tra cumuli di rifiuti che sconcertano la vista e sconvolgono l’olfatto. Il quadro è certamente fosco e con poche prospettive di cambiamento in tempi brevi. La speranza di una inversione di tendenza va coltivata e soprattutto sostenuta dall’azione nascosta ma continua e coerente di chi sente tutta la responsabilità di essere custode del creato. In particolare, occorre creare una rete di sensibilità educative e di buone pratiche, contando sulla forza trainante delle idee e sulla testimonianza di comportamenti corretti, fino allo scrupolo. Occorre perseguire quella conversione ecologica a cui invita Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì, in modo da consolare la terra e porre finalmente fine alla sua angosciante sofferenza di uno stillicidio quotidiano di morte. Una conversione ecologica che ci induca a prenderci cura «affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione » (Laudato sì).
La prossima “Giornata nazionale per la custodia del creato” (1° settembre) sia vissuta come momento penitenziale di partecipazione del dolore della terra per le violenze subite e come riparazione collettiva delle condotte sciagurate di quanti non vogliono capire che oltraggiare e violentare la casa comune è un atto di autolesionismo che pagheremo caro e che ricadrà soprattutto su quanti in futuro malediranno le nostre malefatte a motivo delle quali consegneremo loro una terra non più madre amorevole e feconda, ma matrigna indurita e avara di frutti.
Domenico, Vescovo