È Pasqua? Non è possibile. Questa non può essere Pasqua, con tutte queste insopportabili limitazioni in un Paese diventato un arcobaleno cangiante nelle diverse tonalità dal giallo al rosso. A suo modo, i giorni del Triduo sacro erano preparati e attesi con una partecipazione emotiva che diventava spasmodica, con il loro approssimarsi. I riti suggestivi delle nostre belle tradizioni popolari antiche, a volte di secoli coinvolgevano persone di tutte le età con trasporto e partecipazione. Tutto finito con un colpo di spugna! Anche le prime gioiose feste familiari, incoraggiate dalle giornate solari e tiepide ne hanno fatto le spese. Adesso il vuoto, il silenzio, la solitudine imposti da una pandemia che tiranneggia e miete vittime e condanna all’isolamento quanti hanno più desiderio e bisogno di relazioni belle.
Non c’è rimasto proprio niente del bel tempo antico! Considerazioni come queste non angustieranno solo qualche spirito debole, o taluni soggetti perennemente critici e insoddisfatti. Se solo si pensasse ad alta voce si hanno buoni motivi per immaginare cori intonati all’unisono a urlare la loro desolante insoddisfazione e la vibrante protesta. Ma le cose stanno veramente così? Anche a costo di essere attaccato da coloro che hanno sempre una parola sarcastica verso tutti e tutto, dico subito che il famigerato Covid- 19 ci ha messo del suo, ma non gli si può addossare tutta la colpa dei guai che dobbiamo affrontare. Infatti, Pasqua è sempre quella, ancora oggi. Al centro c’era e continua a esserci il mistero del Risorto, celebrato secondo sensibilità culturali, devozionali, familistiche che ne sottolineavano le ricadute esistenziali e che facevano da contorno alla celebrazione del mistero. Con la caduta progressiva del senso del sacro, quello che era contorno è diventato riferimento principale ed esclusivo, che si è sostituito al trascendente.
Al punto che la festa religiosa è diventata solo un pretesto per giustificare l’insorgere e il radicarsi di riti desacralizzati. Ed è su questi che la pandemia ha fatto cadere il suo taglio pesante, provocando un senso di privazione e di frustrazione che fa dire a chi ne subisce i tagli, a buon diritto dal loro punto di vista, che questa non è Pasqua. E mi vien di dire che hanno pienamente ragione: questa non è Pasqua; ma non lo era già prima per le ovvie ragioni, implicite in quanto appena osservato. Allora, per non essere travolti da un’ondata di recriminazioni fine a se stesse, bisogna guardare la realtà da un altro punto di vista e con altri criteri di valutazione. E sotto questo profilo, la pandemia, al netto delle vere sofferenze fisiche e morali e delle innumerevoli vittime, ha operato una radicale purificazione del sacro, sottraendolo ai condizionamenti di una deriva consumistica che guardava solo all’evasione e alle mode rituali del tutto estranee al mistero.
Per assurdo, proprio questo contesto deprivato, ha ridato alla Pasqua il suo vero senso, esonerando i credenti da tutta una serie di vincoli e obbligazioni sociali per dedicarsi senza appesantimenti impropri alla contemplazione del Risorto e alla ricerca del proprio rinnovamento spirituale, radice della vera festa e di una gioia senza puntelli e senza finzioni. Potrebbe apparire una presa di posizione blasfema, o almeno insensata, ma la Pasqua con la pandemia ci ha guadagnato, in quanto è stata ripulita da tante incrostazioni che ne sfiguravano la bellezza.
E se la certezza della risurrezione di Cristo fu data alle donne e a gli Apostoli dalla constatazione del sepolcro vuoto, la riscoperta della vera Pasqua è convalidata dallo svuotamento di tutto ciò che ne aveva voluto prendere il posto, scalzando il Crocifisso Risorto. E allora ogni cosa al suo posto e i conti torneranno perché non c’è pandemia che possa oscurare il senso del mistero e l’esperienza del sacro. Pasqua è risurrezione, vita nuova, speranza ritrovata anche mentre il virus imperversa.
Domenico, Vescovo