Con la messa vespertina del Giovedì, meglio conosciuta come Messa in Coena Domini, prende avvio il triduo pasquale. Si tratta di una celebrazione che funge da preludio a quanto seguirà nei giorni successivi, in quanto ci introduce nel vivo del mistero della passione morte e risurrezione di Cristo. In questa celebrazione si intrecciano diversi temi, posti al cuore della fede cristiana, che ruotano intorno alle due linee portanti del rito: l’istituzione dell’Eucaristia e il servizio ministeriale. Il primo tema viene reso esplicito dal brano della seconda lettura, nel testo di 1Cor 11,23-26, che spiega bene il senso del celebrare cristiano come riproposizione di quanto Cristo stesso ha fatto, nel gesto del pane e del vino, distribuiti agli Apostoli nel contesto della cena pasquale ebraica, quale pegno di nuova alleanza e nuova Pasqua.
In questo modo si comprende bene il perché della prima lettura, tratta da Is 12,1-8,12-14, in cui ci vengono presentate alcune prescrizioni per la Pasqua ebraica, ultima celebrata da schiavi in Egitto (NB prima dell’esodo la Pasqua era festa naturistica agricola legata alla transumanza), e prima Pasqua intesa come passaggio dalla schiavitù alla libertà, dall’essere non popolo all’essere il popolo di Dio. Il tema viene portato a compimento dal brano evangelico, tratto da Gv 13,1-15, che ci presenta Gesù nel contesto della cena pasquale ebraica, ed è in questo contesto che egli diventa il nuovo agnello da immolare, ma anche il modello da seguire nel segno del servizio. Gesù che lava i piedi agli Apostoli, che da maestro si fa servitore, lascia un esempio di amore caritatevole verso tutti.
Il gesto, che quest’anno ometteremo, del rito della lavanda dei piedi, che segue alla proclamazione del brano evangelico, si fa icona visibile dell’idea di servizio ai fratelli privo di condizionamenti sociali e culturali di sorta. La liturgia del Giovedì Santo inoltre, si caratterizza per un altro rito, anche questo soppresso in questo momento di assenza del popolo dalla liturgia, ossia la solenne processione con il Santissimo al termine della celebrazione, per la sua reposizione e adorazione. Non si tratta di vegliare un defunto, come il nome improprio di “sepolcri” legato alla nostra tradizione popolare può lasciar intendere, ma di pregare dinanzi al Santissimo Sacramento, pegno della nostra risurrezione, e di rendere grazie al Padre per avercelo donato.
Quest’anno saranno i ministri ordinati a celebrare tutto questo per noi, e noi ci uniremo a loro nella preghiera e nel servizio concreto a chi, in questi giorni difficili può aver bisogno del nostro aiuto materiale o del nostro conforto.
Valeria Trapani per Condividere