Il medico Antonio Tavormina, in organico presso il reparto di Chirurgia dell’Ospedale “Vittorio Emanuele II” di Castelvetrano, è stato il primo medico del nosocomio del Belìce ad aver contratto il Covid-19. Da alcune settimane si trova ricoverato presso il reparto di Pneumologia dell’Ospedale Cervello di Palermo. Ecco la sua testimonianza.
Trascorrono i giorni e ripenso ai momenti difficili. Quella che ho vissuto è stata un’esperienza dura, la più pesante della mia vita da uomo e da medico. Un’esperienza che, sicuramente, mi ha segnato e che mi lascerà indelebile la sensazione di caducità della vita. Da medico più volte ho affrontato la sofferenza altrui, ma viverla da questo lato, da paziente, è un’altra cosa. Ognuno di noi in famiglia, nella nostra storia, ha avuto momenti in cui siamo stati pazienti, familiari di pazienti, ma sicuramente vivere in prima persona un momento di annullamento completo fisico e mentale, con la consapevolezza precisa degli avvenimenti che si stanno verificando dentro di te, è un’altra cosa.
Avere avuto la percezione di essere stato a un attimo dall’essere intubato, ha chiaramente lasciato per sempre un segno nella mia vita. Ed è un segno che, sicuramente, mi porterà a rivedere le priorità e le cose importanti dell’esistenza. Ma non solo. Perchè, altrettanto certamente, mi porterà ad affrontare la mia professione in maniera pi. determinata e seria. Il medico deve comprendere quelle che sono le necessità del paziente e, certe volte, essere dalla sua parte, come lui, ti aiuta sicuramente e cambia l’approccio con il malato. La disciplina, la correttezza di comportamento e la professionalità, ma anche il distacco che metti nella tua professione, sono garanzia di valutazioni e di modi di affrontare le necessità di chi hai di fronte nell’interesse del paziente stesso.
Sia noi medici che i pazienti siamo uomini. Persone fatte di carne e ossa, di sentimenti, di emozioni e anche di debolezze. Essere un buon medico significa, a mio modo di vedere, riuscire a offrire al paziente la migliore delle soluzioni nell’ambito anche di una vicinanza psicologica che lo possa rassicurare. Il rapporto medico-paziente deve essere un rapporto reciproco di rispetto e il medico deve averlo dell’essere umano che soffre, perché la sofferenza umana è il massimo della debolezza a cui si puà andare incontro nella vita. Questa va tenuta in debita considerazione nelle paure e nelle incertezze di chi, fino al giorno prima si sentiva invincibile e il giorno dopo si sente sul baratro. Ecco, questa è stata la mia sensazione in quest’esperienza vissuta a rapporto col Covid-19, dalla quale ora sto uscendo per tornare a vivere. Nessun medico la mattina si reca al lavoro per danneggiare un paziente.
Ma il corpo umano, la medicina, non sono una scienza esatta. Le variabili sono cos. tante e richiedono valutazioni opportune. In questa esperienza che sto vivendo in un letto dell’Ospedale “Cervello” di Palermo, ho potuto apprezzare veramente lo spirito di un gruppo di persone che lavorano col sorriso sulle labbra, 12 ore al giorno, sempre vestite con una tuta protettiva, senza potere bere, mangiare, telefonare a casa. Operatori sanitari che, quando tornano a casa, non possono riabbracciare i propri cari, perché non sanno se li mettono a rischio, e così sono costretti a stare in una stanza isolati, nel timore di poter danneggiare i propri affetti. Questa esperienza mi ha segnato profondamente ed è sicuramente una chiave di volta della mia vita umana e professionale.
Sarà il giro di boa per un approccio più sensibile alle persone che mi trovo davanti, ma sicuramente più determinato, serio e intransigente negli errori, nella superficialità e nella pochezza di miei colleghi che potrà, forse, incontrare in futuro. Perchè il bene supremo della vita va tutelato; e va tutelato al massimo delle nostre possibilità e capacità. Quando ci poniamo di fronte alle persone, ricordiamoci che sono creature umane. E per loro non possiamo che, umilmente, avere rispetto.
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