Da bambino giocavo sempre in terrazzo, prendevo le pinze che mia madre usava per stendere i panni e costruivo trenini, robot e personaggi fantastici con cui costruire storie e avventure. Avevo pochi amici se non bimbi come me, che capivano questo mio linguaggio fatto di suoni onomatopee, versi e imitazioni, musica e canti; spesso venivo bullizzato perché considerato “diverso” dai miei compagni di scuola, ma a me non importava. Ho sempre avuto la musica attorno a me, mia madre per farmi addormentare mi metteva i dischi di Frank Sinatra; la prima volta che ascoltai “Heal the world” di Michael Jackson piansi per tutta la durata della canzone, era qualcosa che parlava direttamente al cuore.
Ho lavorato dal 2014 per 4 anni in una cooperativa sociale qui a Mazara del Vallo, come autista di un pulmino; il primo giorno fu molto strano. Non sapevo, avevo sempre avuto una certa “paura” per ciò che non conoscevo, ma piano piano cominciai a vedere queste persone, questi ragazzi …anzi bambini in un corpo di adulto. Riuscivo fin dal primo momento istintivamente a trovare un linguaggio comune, un modo di parlare e comunicare fatto degli stessi suoni, versi per cosi dire, gesti semplici per comunicare e far arrivare un messaggio, un po’ come facevo a scuola con quei compagni con cui instauravo quel rapporto di intesa, capirsi senza bisogno di usare molte parole.
É un mondo a parte, loro hanno un mondo a parte: stupirsi per il sole, urlare perché vedono la pioggia come se non l’avessero mai vista; trovare nei fiori l’ allegria, amare colorare, disegnare, cantare e fare il girotondo, giocare a pallone, imparare cose nuove anche se molti avevano serie difficoltà anche nelle cose più semplici, perché le disabilità si presentano in tanti modi diversi e sono tutte particolari e hanno tante sfumature, spesso difficili da gestire ci vuole tanta pazienza e tanta passione.
I disabili spesso ti sorprendono; in cooperativa dove lavoravo (era anche un centro diurno), c’era un ragazzo che sapeva a memoria tutte le partite, tutti i calendari del campionato di calcio e le classifiche. Certi pomeriggi quando finivo il turno di accompagnamento con il pulmino, avevo tempo a disposizione e prendevo un cartellone e sopra disegnavo dei simboli semplici, la stellina, la nuvoletta, un funghetto, e ritagliandolo creavo delle carte. Stavamo tutti insieme, rispettando i turni a scoprire due carte per indovinare le stesse carte, il gioco “memory” ovviamente a modo nostro.
I disabili capiscono tutto, capiscono anche se sei nervoso magari per i fatti tuoi, ma in un posto del genere devi mettere da parte le tue emozioni emotive, devi dedicarti a loro devi dare ciò che di meglio hai dentro di te. Era un ambiente molto stimolante dal punto di vista creativo. Per esempio, avendo a disposizione la mia chitarra, creavamo cartelloni con delle palline colorate e sopra scrivevamo le note musicali, ovviamente semplificate e con dei colori; poi con la chitarra suonavo le note di “Fra Martino” e tutti i ragazzi seduti e composti a turno provavano a seguirmi; inizialmente c’erano problemi di tempo di intonazione, ma bastava la fantasia per creare un nuovo gioco e imparare anche cose più difficili.
La sensibilità dei disabili va oltre quella di un essere umano. La loro passione, la loro allegria amano le feste; il Natale è qualcosa di unico per loro sono felici anche con una bambola di pezza o un piccolo giocattolo di legno, sgranano gli occhi per delle stelline di carta ricoperte di brillantini appese sui muri, sono come i personaggi del film “Alice nel paese delle meraviglie”, apparentemente senza logica ma non è cosi. Credo che puoi avvicinarti al loro mondo se ti ricordi di come eri da bambino e usi quel bimbo interiore che c’è in ognuno di noi.
È un po’ come nel film “Peter Pan” in cui i bimbi sperduti devono insegnare a Peter (ormai uomo adulto) a trovare il suo pensiero felice tenerselo stretto e infine cominciare a volare…A volte stavamo nel giardino creando canzoni inventandole dal nulla, il gioco consisteva questo: intonavo un accordo e dicevo la prima frase della canzone; allora loro a turno dovevano dire una o più parole cercando di essere in rima.
É triste dimenticarsi, spegnere questa meraviglia anche per le cose più semplici. Ho imparato molte cose da loro. Provo una profonda ammirazione e rispetto per i loro genitori e familiari che fanno tutto per far valere i loro diritti e per i miei colleghi, in un mondo come quello di oggi spesso scolorito e pieno di ingiustizie, un mondo assorbito da se stesso nella frenesia del consumismo assoluto dominato da certe fredde burocrazie sterili e logiche da “business time” legate al denaro, che spianano la strada alle più scorrette competizioni tra colleghi e in crisi cosi difficili come quelle in cui stiamo vivendo oggi.
L’unica soluzione è avere la passione, l’amore per le cose più piccole; e questo lavoro, questo mondo spesso dimenticato è lasciato da parte. Credo che senza tessuto sociale una società formata da due, cento, mille persone, sia destinata a fallire. Oggi abbiamo paura anche di tenerci per mano.
Giuseppe Marino per Condividere