La necessità – vitale per la Chiesa – della evangelizzazione; il diritto-dovere di tutti i fedeli di cooperarvi nei modi congrui alle loro vocazioni; l’attenzione ai doni che lo Spirito suscita per il bene comune sono le considerazioni principali che stanno alla base della approvazione vescovile, giunta nel giorno della festività di San Giuseppe, dello Statuto della “Fraternità di Betlemme di Èfrata” afferente alla grande famiglia del Movimento Carismatico Cattolico, diffuso in tutta la Chiesa in anni successivi al Concilio, nel quale vi ha trovato come una sicura fonte di ispirazione. Questa approvazione viene altresì incontro al desiderio, comune a tutte le forme aggregative che si propongono di favorire una vita cristiana più cosciente e profonda, di vedere il proprio inserimento nella Chiesa facilitato e riconosciuto. Il riconoscimento “ad experimentum” per un triennio dello Statuto in ogni caso esprime la gradualità con cui il Vescovo opera il discernimento ecclesiale nel riconoscere un dono nuovo dello Spirito e salvaguarda la stessa realtà aggregativa da forzature entro schemi canonici che nel tempo potrebbero risultare meno adatti ad esprimere e convalidare il carisma, impedendone un pieno sviluppo.
Per il momento, la “Fraternità”, dunque, si struttura ai sensi del can.321 CIC come una “associazione privata di fedeli” di diritto diocesano che, come tale, ricade gerarchicamente sotto la giurisdizione del Vescovo, a garanzia del suo pieno inserimento nella missione e nei cammini pastorali della Chiesa diocesana. Tale scelta, inoltre, conforme alla prassi sin qui seguita in casi analoghi dal Pontificio Consiglio per i Laici e dalla gran parte delle Diocesi, è apparsa preferibile in quanto consente un approccio pragmatico e tutto sommato meglio orientato ad esprimere e a garantire il carisma e la peculiare identità della Fraternità. Ad essa, in quanto intende essere aperta a tutti i fedeli e a tutte le situazioni umane, possono appartenere “i cattolici di qualunque condizione”, nel rispetto degli obblighi concreti di ogni stato di vita, nonché, quali membri esterni, e previo consenso del Vescovo, “anche i battezzati di Chiese non cattoliche”. Quest’ultima possibilità risponde al desiderio della Fraternità di “favorire l’ecumenismo attraverso la preghiera e la collaborazione con altre chiese e comunità cristiane”. Una simile presenza permette senza dubbio un contatto ecumenico profondo ed efficace, ove è sottolineato il ruolo della Parola di Dio, la tensione alla piena comunione ecclesiale, la preghiera comunitaria, la diversità dei carismi per l’edificazione comune.
Per garantire la chiarezza dell’impegno di adesione alla Fraternità, infine, i suoi membri, giovani adulti, consacrati, coniugati, celibi e nubili, vedovi, si impegnano attraverso “la professione del Patto di Alleanza, preceduta da un congruo periodo di formazione e di cammino vocazionale, accompagnato da un discernimento da parte dei formatori della Fraternità”. Tale piano di formazione, che è sia dottrinale che spirituale, presuppone l’esperienza della “Effusione dello Spirito” e mira a consentire a tutti gli aderenti di vivere la gioia dell’incontro con la persona reale di Gesù, e di condividerla con ogni uomo, specialmente con i più lontani e sofferenti, lasciando vincere la libertà dello Spirito su ogni paura ad essere “Chiesa in uscita”.
Antonino Ingoglia