In una stagione come la nostra, segnata da ingiustizie e sopraffazioni d’ogni genere con grida strazianti e inascoltate dai bassifondi della storia, vi sono ancora oggi donne e uomini «Voce del Verbo». È questo lo slogan della trentesima edizione della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri (si celebra giovedì 24 marzo), promossa da “Missio”, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Si tratta di un’iniziativa che cade ogni anno nel giorno in cui venne ucciso l’arcivescovo salvadoregno Óscar Arnulfo Romero, mentre celebrava l’Eucarestia.
La memoria dei missionari martiri prende ispirazione da quel tragico evento, non solo per fare memoria di quanti lungo i secoli hanno immolato la propria vita proclamando la Buona Notizia, ma anche per affermare la consapevolezza che la missione, in quanto donazione, è sempre comunque espressione dell’amore misericordioso di Dio. Dal punto di vista dei significati, sono molteplici le declinazioni di questa Giornata di preghiera e digiuno. È sufficiente riflettere su quanto sta avvenendo nell’Africa Subsahariana, dove un numero indicibile di persone soffrono pene inenarrabili, espressione eloquente della cultura dello «scarto» stigmatizzata in più circostanze da Papa Francesco. Al cospetto di tanta umanità dolente che viene immolata sull’altare dell’egoismo umano, non è lecito stare alla finestra a guardare.
Per dirla con le mistiche parole di Paul Claudel: «Cristo non è venuto a spiegare il dolore, ma a riempirlo della sua presenza». Ecco che allora la santità di queste eccellenze missionarie resta viva ed efficace nella capacità di estendere nel tempo e nello spazio, attraverso la discepolanza, il loro carisma a servizio degli ultimi, di coloro che sono vittime delle diseguagl ianze nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro povero mondo. È bene rammentare che, secondo i dati raccolti dall’agenzia missionaria “Fides”, nell’anno 2021 sono stati uccisi a livello planetario 22 missionari: 13 sacerdoti, 1 religioso, 2 religiose, 6 laici. Sono note le esitazioni o addirittura i pregiudizi di coloro che oggi considerano la missione circoscritta al nostro Paese.
Eppure, per quanto sia evidente il deficit di testimonianza nei comportamenti più quotidiani, in parte per l’immobilismo di alcune tradizionali agenzie educative, vi è davvero bisogno di promuovere un sussulto di missionarietà, nella consapevolezza che essa rappresenta l’antidoto nei confronti dei processi devastanti di mondializzazione che penalizzano fortemente l’uomo e dunque lo stesso dettato evangelico. Non ignorando chi nella Chiesa inquina la testimonianza con scandali ingiustificabili, è comunque importante ricordare anche quanti svolgono il loro apostolato nei Paesi del Sud del mondo, parafrasando la Prima Lettera di Pietro, hanno preso sul serio il Vangelo, «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».
padre Giulio Albanese per Condividere
missionario comboniano