Rosario Livatino da ieri è Beato. La cerimonia si è svolta nella Cattedrale di Agrigento, dove è stata esposta una reliquia del magistrato: la camicia sporca di sangue che indossava al momento dell’omicidio. I Vescovi di Sicilia, in occasione della beatificazione, hanno diffuso un Messaggio alle comunità: «Il Signore ha benedetto ancora questa nostra terra!», hanno scritto i prelati.
Livatino venne ucciso il 21 settembre 1990: «Quella data segna il momento culminante di un cammino che coincide con la sua stessa vita e che procede decisamente nello stile della Pasqua: un cammino in cui la logica dello “scambio”, propria del clientelismo che rende schiavi dei poteri forti di turno, è soppiantata — passo dopo passo — da quella del “dono”, che si compie nella gratuità incondizionata attraverso il passaggio obbligato della croce», scrivono i Vescovi.
Il Beato Rosario Livatino è il primo magistrato laico martire in odium fidei: «Dal Beato Rosario Livatino, annoverato oggi insieme al Beato Pino Puglisi nella lunga schiera di profeti e martiri del nostro tempo e della nostra terra, impariamo che la santità ha il sapore della speranza che non si arrende, della coerenza che non si piega e dell’impegno che non si tira indietro, perché ogni angolo buio del mondo — compreso il nostro — abbia l’opportunità di rialzarsi e guardare lontano».
Il 19 aprile 1992, tra l’omicidio del Giudice Livatino e la visita del Papa, mentre in tutta la Sicilia si consumavano i più efferati delitti di mafia, la Chiesa Agrigentina ha pubblicato il documento “Emergenza mafia”: il documento passava in rassegna la responsabilità personale e collettiva del silenzio e della connivenza, i segnali per riconoscere la mentalità mafiosa come pratica disumana e antievangelica e il dovere della testimonianza e della profezia nella comunità cristiana oggi. «Da questa consapevolezza dobbiamo ripartire, considerando che in questi trent’anni tante cose sono cambiate, ma non sono ancora cambiate abbastanza. Se sembra finito il tempo del grande clamore con cui la mafia agiva nelle strade e nelle piazze delle nostre città, è certo che essa ha trovato altre forme — meno appariscenti e per questo anche più pericolose — per infiltrarsi nei vari ambiti della convivenza umana, continuando a destabilizzare gli equilibri sociali e a confondere le coscienze», scrivono ancora i Vescovi.
«Non possiamo più tacere, dobbiamo alzare la voce e unire alle parole i fatti» è il monito dei prelati siciliani.