Dopo sei mesi di lavori di manutenzione straordinaria la chiesa madre di Castelvetrano è stata riaperta al culto con una solenne celebrazione presieduta dal Vescovo. I lavori hanno interessato la copertura dell’edificio sacro ma anche la cappella dei Ss. Crispino e Crispiniano che era a rischio collasso. I lavori proprio in quest’ultima zona del luogo sacro hanno consentito di portare alla luce gli affreschi del Seicento che erano stati coperti con la calce bianca. Qui di seguito pubblichiamo il testo del’intervento che l’arciprete don Leo Di Simone Cangemi ha letto all’inizio della celebrazione eucaristica.
Ci siamo radunati in questo luogo, stasera, nella temporalità liturgica commemorativa della Croce vivificante del Signore – tra spazio e tempo dunque – per restituire la sua struttura basilicale alla funzionalità liturgica. Con rito solenne! Con il rito che non è un semplice riflesso della vita sociale secolare, data la sua funzione peculiarmente antropologica di proteggere e in parte di esprimere verità che rende gli uomini liberi dalle esigenze del loro stato, liberi di contemplare e pregare, di pensare e di inventare (cfr. Victor Turner, Simboli e momenti della comunità. Saggio di antropologia culturale, Brescia 20032, p.9). Con rito liturgico che condensa la verità spirituale della culturalità cristiana che introduce alla forma della Communitas da posizione liminale. Noi stiamo sulla soglia della templarità per entrare in quella più perfetta dell’edificio spirituale del quale siamo chiamati per grazia a divenire pietre vive. Noi ci troviamo nel simbolo della Chiesa, anzi ne siamo parte, non senza contraddizioni, avvertendo, anche inconsciamente, la natura fratta del simbolo, e la fatica dell’assemblaggio mistico in cerca dell’intero, dell’unità di corpo cristico. Da qui la necessità restaurativa della Chiesa, semper reformanda per costituzione, e il ritrovarsi nella sua metafora materiale, lapidea, materica, soggetta alla caducità, all’ingiuria del tempo e degli uomini e tuttavia espressiva di ontica bellezza che troverà solo nell’escaton la sua piena rivelazione. Riteniamo che la cura del “tempio e delle belle pietre” (cfr. Lc 21,5) altro non sia che un tentativo della traditio fidei, in cui già le generazioni passate si sono cimentate, di esprimere al meglio delle possibilità culturali l’immagine di una Chiesa “pura, santa, immacolata” (cfr. Ef 5, 27) lavata dal sangue del suo Sposo.
Così il Duomo di Santa Maria Assunta in Castelvetrano, sin dal suo sorgere, agli inizi del XVI secolo, si è costituito specchio dell’ansia ecclesiale di trasfigurazione, che è processo diuturno conchiudibile solo teleologicamente e si è sviluppato, diacronicamente, in ricerca di sincronia escatologica con la smania di adeguare le sue forme estetiche alla bellezza fontale fruibile solo nel corpo del Signore Bello. Un processo durato da allora sino al presente. Questo edificio basilicale, in tutte le sue componenti architettoniche rivela lo sviluppo di tale processo, parallelamente allo sviluppo delle forme liturgiche che hanno determinato i molti adeguamenti per garantire la costanza del rapporto struttura-funzione. Non è questo il tempo di descriverli nel dettaglio; basti soltanto pensare ai molti luoghi che hanno accolto nel tempo il battistero, la costruzione e la successiva demolizione degli altari votivi, l’erezione e la decorazione delle cappelle, del cappellone, il rialzo del transetto e del coro, il posto dell’organo; ci troviamo a contatto con un organismo vivo che in ogni sua componente rivela, anche attraverso reliquie di bellezza, l’impegno di un organismo ecclesiale che lo ha curato in specularità esistenzialmente cristiana.
Ciò che salta più agli occhi, ciò che è mirum oculis, è il miracolo di armonia delle sue forme. Le misurazioni progettuali dei tecnici, in ordine all’intervento di restauro, attestano l’utilizzo della sezione aurea nella costruzione dell’edificio. L’armonia delle proporzioni delle sue parti è dovuta a questo prodigio matematico e geometrico che Luca Pacioli chiamò “sezione divina”: scintilla metafisica rinvenibile nel creato che gli architetti hanno saputo utilizzare sin dalla più tarda antichità. Tale segreto lo custodiscono le piramidi egizie, i nostri templi selinuntini ed anche la Chiesa Madre di Castelvetrano che a buon diritto può essere considerata uno tra i monumenti più significativi del Cinquecento europeo. Peccato che l’equilibrio armonico fondato sull’1,618, il numero aureo, sia stato incrinato da interventi ignari della simbolicità metafisica del numero. Le ripavimentazioni interne e, per ultimo, quella esterna hanno infranto il codice dell’armonia. Armonia e bellezza, come tutte le cose preziose sono molto fragili e facilmente alterabili; il Kronos divoratore e la stoltezza umana sono le principali cause della loro dissoluzione.
Il nostro compito di uomini e di cristiani è quello, per dirla con S. Bernardo, di reformare deformata! Ridare forma a ciò che, se non altro per la legge dell’entropia, lentamente e costantemente la perde. Ed è opera sociale, politica, religiosa, architettonica, artistica… in sincronia e in reciprocità. Per andare allo scopo di questo mio intervento è necessario ma anche superfluo dire che questo edificio chiesa aveva bisogno di urgenti interventi, risolutivi del suo cattivo stato di salute. Il progetto di manutenzione straordinaria, così come è più opportuno chiamare l’intervento che è sotto i nostri occhi, è il frutto di una indagine accurata che alla fine degli anni 90 era stata condotta dall’Ufficio beni culturali della Diocesi di Mazara di cui il sottoscritto era direttore. Da quell’indagine si arrivò alla bonifica delle cripte sotto il presbiterio le cui precarie condizioni minavano la staticità stessa dell’edificio. La bonifica delle altre cripte individuate e attualmente chiuse non è stata possibile, causa l’indisponibilità degli organismi regionali a inserire altri progetti della Diocesi nel contenitore di Agenda 2000 patrocinata dalla Comunità Europea. Da allora nessun intervento si era reso possibile e le condizioni dell’edificio sono state sotto gli occhi di tutti.
Dalla diagnostica si evince che il male più grave che affligge la Chiesa Madre di Castelvetrano è l’acqua. Dal cielo e dalla terra. Il soffitto, lo splendido soffitto ligneo dipinto, era minacciato dalla sconnessione e dalla precaria coibentazione della coperture, con i canali di gronda non recettivi a causa dell’ostruzione costante provocata dagli ignari quanto romantici piccioni. Lo squilibrio ambientale li ha ormai urbanizzati rendendoli coinquilini non molto attenti alla salute dei nostri edifici, ed anzi una ennesima “piaga d’Egitto”. E’ sbagliato seguire la moda culturale del political correct dicendo che tutto va bene. Salva l’incolumità fisica dei piccioni bisogna cominciare a pensare seriamente a qualche soluzione, prima che i nostri edifici vadano in briciole. Sono di non facile comprensione invece le cause dell’acqua dal basso che provoca l’umidità di risalita lungo le pareti della Chiesa Madre, specie nel lato nord, quello non soleggiato. Andrebbero approfondite le indagini, appurate le cause e ricercati rimedi risolutivi.
Lungo quello stesso lato nord insiste, in corrispondenza della cappella del Giglio, una superfetazione assurda che mortifica l’abside e che andrebbe demolita senza indugi, essendo causa delle infiltrazioni che hanno ridotto i preziosi affreschi nello stato che si vede. Ma è difficile combattere contro un potentato economico come l’Enel se non si è in sintonia e in sinergia. L’economia se ne infischia dell’arte. Lo dicevano già i prammatici romani che carmina non dant panem! Secoli di incuria non negligente ma forzata, in mancanza di risorse, hanno deteriorato stucchi e pitture di gran pregio nel cappellone. Mi rendo conto che allo stato attuale, con la politica della lesina per i Beni Culturali dei governi italiani, nulla si può fare. Questo edificio, come la gran parte degli edifici ecclesiastici della nazione, non è un bene privato della Chiesa, quasi essa fosse isolata dal tessuto sociale. E’ un bene della comunità civile tutta. Anche qui siamo in posizione liminale. Non teologica stavolta ma politica. Non si fa una cortesia alla Chiesa se si opera in favore del suo patrimonio storico-artistico-culturale. La Chiesa è fatta di cittadini, è innervata nel tessuto sociale e il patrimonio di una cultura deve essere tutelato dagli organismi politici preposti all’incremento del bene comune.
La Chiesa italiana ha saputo trovare spazio nel suo progetto culturale per i beni che attengono al patrimonio artistico da essa prodotto nel corso di venti secoli. Sa bene che non può né deve competere con lo Stato per la salvaguardia di un patrimonio così ingente. Dalle sue risorse finanziarie, risultanti dal gettito dell’8×1000, trae i fondi per la ristrutturazione e la manutenzione di edifici significativi come il nostro. Fa, in qualche modo, opera di supplenza. A questi fondi abbiamo attinto, e ai risparmi della parrocchia, per mettere in atto l’intervento di manutenzione straordinaria che ha mirato alle priorità: la revisione totale delle coperture, il totale rifacimento degli intonaci interni, la pulizia della facciata con l’occlusione dei punti di infiltrazione delle acque meteoriche, il rifacimento della parete ovest della cappella dei SS. Crispino e Crispiniano che era a rischio collasso, la revisione radicale dei vani fatiscenti insistenti sulla parete sud, per collegarli in maniera più adeguata al resto dell’edificio, povero di locali pastorali, e trarne l’ufficio parrocchiale e due stanze per il catechismo. L’intervento di manutenzione è stato pertanto circoscritto e mirato alla più coerente ed esteticamente più gradevole funzionalità pastorale e liturgica dell’edificio.
La revisione degli spazi ha consentito di dare sistemazione più adeguata ai luoghi della celebrazione liturgica, secondo i principi di adeguamento voluti dal Concilio Vaticano II e ratificati dalla Cei. Il Battistero ha adesso una sua stabile collocazione con il piccolo aggiustamento che ha salvaguardato gli elementi artistici rendendo più facile l’accesso al fonte battesimale. La stessa cappella dei Ss. Crispino e Crispiniano detta dei “Calzolai” ha riacquistato funzionalità liturgica: in ausilio al battistero e come cappella delle celebrazioni feriali per piccole assemblee. In essa sono stati rinvenuti, sotto gli intonaci ottocenteschi ammalorati e distaccati, lacerti di affreschi del Seicento e gli archi in pietra. Si è lasciato a vista ciò che era possibile lasciare senza provocare danni. Gli affreschi, deteriorati, hanno bisogno di restauri che non era nelle nostre possibilità effettuare. Nel corso dei lavori ho ritenuto necessario rivedere la pavimentazione dell’area celebrativa e ricollocare l’ambone ligneo, rinnovato nella sua struttura, in mezzo all’assemblea, luogo che gli è proprio secondo la più antica tradizione liturgica. Si è trattato di una necessaria e congrua consequenzialità.
Vi sarete sicuramente accorti della luminosità dell’aula! L’intervento ha comportato la revisione quasi totale degli impianti elettrici ed il rinnovo di tutti i corpi illuminanti a basso consumo. Il merito del risultato è appannaggio del Centro Impianti VBS di Castelvetrano. Questi i principali interventi. Insieme a tanti altri meno evidenti ma necessari dovuti alla mia pedanteria che ha messo a dura prova la pazienza dell’impresa del Sig. Mimmo Armata e dei suoi operai che alla fine si sono rassegnati ad avermi continuamente tra i piedi. Li ringrazio per la loro pazienza, la loro professionalità, e per avermi sempre accontentato nei limiti del possibile. Così ringrazio il direttore dei lavori, l’Arch. Beniamino Errante. Anche sulla sua pazienza, lo riconosco, ho insistito molto; lo consentiva il rapporto di stima e di amicizia. Allo stesso modo devo ringraziare il responsabile del procedimento, Ing. Bartolomeo Fontana. Con lui e con Beniamino Errante abbiamo imbastito il progetto che è stato l’ultimo mio atto prodotto in qualità di Direttore dell’Uff. BB. CC. della Diocesi. Lo chiesi al Vescovo come una sorta di “buonuscita” quando mi comunicò che aveva intenzione di mandarmi a Castelvetrano. Adesso il lavoro è compiuto. Nunc dimittis servum tuum Domine!
Non posso, a questo punto, mancare di ringraziare quanti mi hanno aiutato a mettere in sicurezza le opere d’arte custodite in questo Duomo e che hanno avuto nuova e più coerente collocazione. Ringrazio di cuore la Sig.ra Lia Calamia e la sua bottega Lighea. Con i suoi allievi Fabio Vivona, Daniela Lucentini, Valentina Cosentino, Antonino Cascio, Vera Bocina, Noemi Camporeale, con il sostegno dell’Associazione “Proloco Selinunte” hanno fatto sì che la notevolissima tela dei SS. Crispino e Crispiniano non finisse a brandelli. Tra l’altro è stato sciolto l’enigma dell’autore intorno al quale gli storici locali hanno disputato, inutilmente. E’ leggibile chiaramente sulla tela, bastava guardare: Gabriel Cabrera Cardona Nar.sis 1665 pinxit. Alla squadra si è unita anche la Sig.ra Irene Firenze, restauratrice di professione che ha offerto il suo gratuito contributo per spolverare, pulire, manutentare quadri e statue prima della definitiva collocazione. Un grazie riconoscente a tutti, anche a quelli che mi hanno aiutato nell’umiltà e nell’anonimato per risolvere i mille problemi venutisi a creare nei sei mesi di cantiere.
Possiamo trarre da questo risultato una lezione spirituale? A volte, lo confesso, mi sembra che l’accumulo di tanta bellezza e la constatazione del suo continuo degrado e gli sforzi per il suo mantenimento siano una fatica impari e inutile. “Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte”? (Rm 7,24) “vorrei esulare altrove” (cfr. 2Cor 5,8) posso dire con S. Paolo. La nostra patria, in fondo, è nei cieli (cfr. Fil 3, 20) e lì sarà superfluo ogni restauro. Noi saremo restaurati, trasfigurati, illuminati… lasciamoci restaurare dal sangue prezioso di Cristo, dall’ombra luminosa della sua Croce. E’ questo il lavoro più importante a cui dobbiamo mettere mano. Noi abitiamo la contraddizione ma bisogna uscirne. Una sola è la porta, stretta, che conduce alla vita. Per me si quis introierit salvabitur (Gv 10,9) dice il Signore. Ci aiuti la Vergine Maria, l’Assunta, sotto il cui manto vuole rifugiarsi la comunità ecclesiale di Castelvetrano che anela alla sua edificazione in tempio spirituale guardando “il tempio e le belle pietre”.
(Le foto di questo servizio sono di Max Firreri)