Mi chiamo Diego è sono il papà di Josè. Mia moglie ed io abbiamo scelto di fare i genitori. Ma nella vita non tutto si può scegliere, soprattutto il “funzionamento” di un figlio. Si “funzionamento”, perché è cosi che ci è stato spiegato dal neuropsichiatra infantile dopo la lettura della diagnosi di nostro figlio: disturbo dello spettro autistico. Ci è stato detto: «Vostro figlio ha un funzionamento atipico, diverso dagli altri, avrà difficoltà nella comunicazione, nella socializzazione, nello svolgere attività quotidiane, comunemente considerate semplici, come mangiare, lavarsi, vestirsi, giocare».

Questi sono momenti molto difficili per un padre, ma ancora più difficili sono i momenti che seguono la diagnosi. Ho le giuste competenze e capacità per produrre quei cambiamenti che mirano a migliorare la qualità di vita di mio figlio? Quando si è chiamati ad affrontare compiti molto più difficili di quanto ci si aspetti, la cosa più semplice è di evitarli, scappare. L’alternativa e cercare di fare del proprio meglio, anche sbagliando. Ancora ricordo quanto insegnatoci durante gli incontri del corso prematrimoniale: genitori non si è, non è un titolo che dà diritti di proprietà sui figli, essere genitore è un ruolo che consiste nello svolgere quei compiti derivanti dalla responsabilità genitoriale. È provvedere ai bisogni inerenti la salute, l’educazione e l’assistenza dei figli. Un papà è chiamato a svolgere i compiti genitoriali nella loro interezza, senza risparmiarsi, ma deve avere anche il coraggio di chiedere aiuto alla comunità nei momenti di difficoltà.
L’aiuto più importante che può dare la comunità è quella di includere i soggetti più fragili, accettandoli nella loro “diversità”, comprendendo il loro “funzionamento”, anche vigilando che le risorse messe a disposizione siano utilizzate per i giusti fini; quindi accertarsi che vengano utilizzate per garantire il diritto alla salute secondo le raccomandazioni scientifiche, così per come previsto dalle Linee guida redatte dal Sistema Sanitario Nazionale e al fine di garantire la realizzazione di un progetto di vita che tenga in considerazione di tutte le loro esigenze, così per come previsto dalla legge n. 328 del 08/11/2000. E chiedersi anche: e se questo non avviene qual è il motivo? Come si possono cambiare le cose? Se c’è una cosa che ho imparato dall’essere papà di un figlio con diverso “funzionamento” è che non si può esserlo da solo. Bisogna avere alle spalle una intera comunità che, sensibilizzata e “formata” sulla tematica, aiuti le famiglie ad affrontare la “diversità” al fine di migliorare la loro qualità di vita, nell’ottica di una fattiva inclusione nella società.
Diego Angileri per Condividere