Diretto, concreto, realista. Nell’ormai abituale incontro con i vescovi italiani per l’apertura della 71ª Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana in Vaticano, Papa Francesco ha messo sul tappeto tre questioni “calde”, i cui contorni ha definito con chirurgica precisione. Nell’aula del Sinodo, lunedì 21 maggio, ha parlato di emorragia di vocazioni, di povertà evangelica e trasparenza di gestione e del numero incredibilmente alto, se messo in relazione con il resto della Chiesa, delle diocesi italiane. Un discorso asciutto, senza fronzoli, che ha indicato tre priorità per l’episcopato italiano, fornendo anche delle vie d’uscita. Su quello che è un problema comune a molte altri episcopati nel mondo, il calo vertiginoso di vocazioni sacerdotali e religiose, il pontefice ha detto con chiarezza che la terra che per secoli è stata «fertile e generosa nel donare missionari, suore e sacerdoti, oggi vive una crisi, frutto avvelenato della cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro». Un ruolo decisivo, a detta di Francesco, hanno avuto anche i tanti, troppi, scandali che hanno scosso la Chiesa italiana e una certa «testimonianza tiepida».
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La proposta per venire incontro al bisogno di comunità rimaste a secco di vocazioni è quella di reinterpretare una possibilità che fino a oggi era riservata alle terre di missione, i fidei donum. Insomma, ha invitato Francesco, se in Piemonte i seminari sono vuoti e in Puglia invece non mancano vocazioni, siate generosi e condividete. Il “dono” di un nuovo sacerdote sarà fatto dalla diocesi o regione ecclesiastica più benedetta a quella meno, con giovani preti “migranti” che porteranno nella nuova Chiesa anche il patrimonio di tradizioni e fede delle comunità di origine. Il secondo tema, la povertà non è nuovo, ed è decisamente tra quelli che stanno più a cuore al sobrio Francesco. Il pontefice, da buon gesuita, ha ricordato che «la povertà è madre e muro della vita apostolica: madre perché la fa nascere e muro perché la protegge». È noto che Bergoglio non ama i “pastori-faraoni” e più volte ha denunciato la contro-testimonianza di chi «predica bene e razzola male». Le indicazioni sono state semplici, consigli pratici di chi sa come si guida una diocesi: non gestire i beni della Chiesa come fossero beni personali, non mettersi in situazioni che superano le proprie capacità o peggio, gestire in maniera disonesta «gli spiccioli della vedova», o ancora «se si invita qualcuno a cena pagare sempre di tasca propria». [LEGGI QUI I BILANCI DELLA DIOCESI].
Infine la questione più spinosa: la riduzione o l’accorpamento delle diocesi italiane per sfrondarne il numero, 226, che costituisce una vera e propria anomalia nella Chiesa universale. Bergoglio si è mostrato informato sulla storia dell’episcopato italiano, ricordando l’iniziativa, nel 1964, di Paolo VI. Iniziativa che dopo una lunga gestazione, portò a una prima riorganizzazione amministrativa e territoriale nel 1986, non esente da lacerazioni, proteste e strascichi polemici. Il Papa ha parlato di esigenza pastorale, di fusione di circoscrizioni, territori, abitanti e clero, di una riforma inevitabile e urgente, da concludere al più presto. Le preoccupazioni di Francesco sono state poi discusse nell’aula, in un clima di fraternità e condivisione. E se per i primi due nodi la convergenza è stata pressoché totale, sulla riduzione delle diocesi le perplessità non sono mancate. Il Papa che aveva aperto i lavori avvertendo che avrebbe accettato anche le critiche, ha ascoltato una lunga sequenza di obiezioni. È il risultato del metodo che ha proposto e fortemente caldeggiato, quello della collegialità. La Conferenza Episcopale Italiana sembra aver imparato la lezione.
Cristiana Caricato per Condividere