Che cos’è oggi, a cinquant’anni dal sisma, la Valle del Belice? Tra ricordi e memoria, cosa è stato, in questo mezzo secolo, il lembo più occidentale della Sicilia colpito dal più grande terremoto verificatosi in Italia dopo il sisma di Messina del 1908? A pochi giorni dall’anniversario del sisma, oltre il ricordo delle vittime, sarà il tempo di bilanci, di quanto si è speso per la ricostruzione e quanto ancora serve per chiudere il capitolo più complesso, ma anche per parlare seriamente di sviluppo. Ed è forse quest’ultimo l’aspetto più taciuto in questi decenni, in cui è stato necessario, innanzitutto, dare un tetto agli sfollati. Se poi la gente è emigrata perché qui non c’era lavoro e non si sono create le condizioni affinché ci fosse, la questione dello sviluppo è naufragata tra gli impegni della politica e i contributi erogati dallo Stato per la ricostruzione.
Oggi, più che mai, la Valle del Belice ha voglia di riscatto. Cinquant’anni dal sisma con un capitolo ancora aperto (quello della ricostruzione) sono davvero tanti! Ma sono ancora di più senza aver dato a paesi e territori le opportunità per il rilancio economico. L’edilizia è stato il settore che per decenni ha garantito l’economia dell’intera Valle ma, intanto, si è guardato poco ad altri settori. Poi, dopo l’ondata della grande ricostruzione, è stato il tempo della crisi. «Ciò che si doveva fare non si è fatto – ammette il coordinatore dei sindaci del Belice, Nicola Catania – era il tempo di sostenere e valorizzare l’agricoltura e questo non è avvenuto ». Da Salemi a Salaparuta e Poggiorealeinteri ettari sono stati coltivati a seminativo e vigneto, senza guardare a nuove colture più redditizie. Finanche alcune opere pubbliche avrebbero dovuto essere finalizzate allo sviluppo dell’agricoltura e, invece, sono rimaste incompiute.
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Come il bacino Rinelli, tra Gibellina e Camporeale: l’acqua raccolta doveva arrivare sino alle campagne intorno, ma la condotta non è stata mai realizzata. Il capitolo dolente dello sviluppo economico lo Stato lo ha soltanto sfiorato. Una prima volta a pochi mesi dal terremoto, quando fu proposta la costruzione di un unico centro urbano che sarebbe servito per mettere insieme Poggioreale, Gibellina e Salaparuta (facendo perdere le singole identità) e così far nascere a fianco alcuni insediamenti industriali, poi mai realizzati. La Regione ci ritentò nell’86 con uno studio di fattibilità all’interno del quale, tra gli altri, spiccava il progetto “Parco monti di Gibellina”, per uno sviluppo turistico della zona. Di questo sono rimaste soltanto le carte e una spesa di circa 500 milioni di euro per pianificare lo studio. Uno sviluppo economico nella Valleè da sempre mancato. «Sono mancati gli investimenti pubblici in questo senso; bisogna lodare chi lo ha fatto invece da privato» dice ancora il coordinatore dei sindaci Nicola Catania.
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I giovani, anno dopo anno, sono andati via, voltando le spalle al Belice, con la speranza, forse, un giorno di poterci tornare. Che fare oggi? «C’è la necessità di completare la ricostruzione, dice Catania; per le opere pubbliche è necessario completare quelle rimaste incompiute. Lo Stato deve sostenere i Comuni per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare acquisito nei centri storici; e poi bisogna guardare a un progetto unico di rilancio economico». Agricoltura e turismo sono i settori sui quali scommettere. Basterà? «Alcuni esempi di privati nella Valle hanno messo in luce una capacità imprenditoriale di successo – spiega Catania – su questa scia dobbiamo credere e investire». Quest’anno, intanto, lo Stato non trasferirà neppure un euro ai Comuni per la ricostruzione. Sarà un anno nero, nonostante da ogni parte si ricorderanno scosse, vittime, ricostruzione lunga e sudata.
Max Firreri