Nell’ottobre 1978 il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana istituì la “Giornata in difesa della vita”, con l’intento di «educare all’accoglienza della vita e di combattere l’aborto e ogni forma di violenza esistente nella società contemporanea», cercando di opporre un argine di difesa della vita nascente contro l’aborto, peccato gravissimo sanzionato dalla scomunica. Nel tempo l’attenzione di questa ricorrenza si è allargata alla cura e alla tutela della vita e il titolo è stato modificato in “Giornata per la vita”, fissata come appuntamento annuale alla prima domenica di febbraio.
La prossima celebrazione (2 febbraio 2020), tematizzata con lo slogan: “Aprite le porte alla vita”, è accompagnata, come di consueto, da un messaggio del Consiglio Episcopale Permanente. Questa Giornata vuole essere l’opportunità per invitare tutti a fermarsi per prendere maggiore consapevolezza della magnifica realtà della vita, della quale non sempre ci si prende la dovuta cura per il fatto che essa scorre e si sviluppa in modo naturale e non ci stupisce più di tanto. Eppure basta un minimo intoppo, anche solo un’improvvisa emicrania, per richiamarci alla fragilità del nostro corpo e all’esigenza di trattare noi stessi con il dovuto riguardo, evitando le forme di trascuratezza che sono premessa per conseguenze, talora irreparabili.
Se poi ci si guarda attorno e si dà ascolto alla cronaca quotidiana, fa senso notare il colpevole e diffuso disprezzo per la vita, dalle forme più assurde di violenza omicida tra le quali ha un posto a sè l’aborto che tanti non considerano soppressione di una vita ma un semplice rimedio a una gravidanza non voluta, agli attentati alla dignità e sicurezza delle persone, particolarmente nelle espressioni gravi e intollerabili degli abusi di minori e persone vulnerabili. Il quadro che presenta la nostra società è davvero sconsolante perchè le offese alla vita non sono solo quelle che attentano alla sfera fisica, ma anche quelle che mortificano la dignità delle persone, impedendo loro di vivere in modo consono e di realizzare le loro più belle e alte aspirazioni.
Ma c’è un altro aspetto che il nostro tempo vive con grande conflittualità e con sorprendente perdita di senso dell’umano e riguarda il tema della solidarietà e della condivisione, connesso con il fenomeno della mobilità e non solo. Da sempre gli uomini sono dei viandanti, nella continua ricerca di quanto può consentire loro un miglior tenore di vita; in una parola alla ricerca della felicità.
Sono molto espressivi e invitano a riflettere i versi finali di un lied di Franz Schubert, intitolato proprio “Il viandante”: «Io vago silenzioso, infelice, / e sempre mi domando sospirando: dove? / E sempre: dove? / Una voce misteriosa mi risponde: / “Lì dove tu non sei, lì c’è la felicità!”».
Proprio questo bisogno inappagato di felicità muove le persone verso un luogo, da taluni solo vagheggiato e mai raggiunto, nel quale trovare finalmente il riposo del corpo e la pace dello spirito. Perchè mortificare e sopprimere questo sogno di felicità? Perchè non si vuole che altri godano degli stessi benefici di chi la felicità l’ha potuta conquistare? Perchè non si tollera che qualcuno intraprenda la medesima ricerca, diventando concorrente pericoloso, magari capace di raggiungere l’obiettivo prima?
In ogni caso siamo di fronte ad atteggiamenti disumani e ingiusti che possono essere contrastati solo con percorsi educativi che risveglino e tengano desto il senso dell’umano e suscitino quella apertura all’altro che la rimpianta civiltà contadina ha vissuto con grande esemplarità e dove il poco di molti era la ricchezza e il benessere diffusi e condivisi da tutti. Infatti, «non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri»; e ciò in modo particolare per i credenti ai quali non può sfuggire che »il frutto del Vangelo è la fraternità» (dal Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente).
Domenico, Vescovo