Sono trascorsi quasi due mesi da quell’infausto 1° settembre, allorchè, in un assalto di stampo piratesco, motovedette libiche delle milizie del generale Haftar catturarono due pescherecci mazaresi, l’Antartide e il Medinea, a 35 miglia dalla costa in acque che la Libia dal 2005 ritiene zona economica esclusiva, in violazione del diritto internazionale che, come è noto, limita a 12 miglia le acque territoriali. Inizialmente la notizia del sequestro fu accolta in città e non solo con indifferenza, pensando all’ormai quasi scontato dazio da pagare ai libici per lo sconfinamento, secondo il loro punto di vista. Come in passato, l’incidente si sarebbe potuto risolvere in pochi giorni con il pagamento di un indennizzo; questo era almeno il convincimento di tanti.
Che le cose stessero diversamente lo si è capito con il passar dei giorni e con l’assenza di segni che mostrassero l’evolversi, per quanto lento, della situazione. Il silenzio prolungato e le rassicurazioni formali delle fonti governative, la discesa in campo dell’unità di crisi della Farnesina, l’assenza di riscontri confermavano sempre più la complessità del caso e l’allontanarsi della soluzione. E se da un lato cresceva la preoccupazione per la sorte dei prigionieri e per il trattamento a loro riservato, dall’altro non minore era l’ansietà condivisa del tormento dei familiari, giustamente in apprensione per la mancanza di notizie certe e documentate dei loro cari.
In questo quadro del tutto imprevisto, stupivano, però, l’ingiustificata apatia e il mancato solidale coinvolgimento della cittadinanza in modo particolarmente evidente nelle manifestazioni promosse dalle organizzazioni sindacali, come se l’accaduto riguardasse esclusivamente le famiglie interessate e, al più, le istituzioni. E mentre si rincorrono le voci più disparate sulle pretese della parte libica per procedere alla liberazione dei 18 marittimi, alle quali fanno da contrappeso le reiterate assicurazioni sulle buone condizioni dei prigionieri, in verità non si hanno dati che preludano a una chiusura sollecita dell’incresciosa vicenda. Da rilevare, in ogni caso, la compostezza dei familiari che fanno sentire la loro voce con un sit-in piazza a Roma e nell’aula consiliare a Mazara del Vallo e, contestualmente, la solidarietà che unisce le famiglie dei prigionieri, mazaresi e immigrati.
In questa drammatica circostanza la Chiesa mazarese si è messa accanto ai familiari con iniziative di sostegno solidale e con una veglia di preghiera, alla quale è intervenuto anche l’imam della città, Ahmed Tharwa. L’auspicio è che il silenzio che continua ad avvolgere la vicenda possa essere squarciato quanto prima dall’annuncio che tutti attendiamo con impazienza e che affrettiamo, per quel che ci riguarda, con la preghiera a Dio, al quale nulla è impossibile.
monsignor Domenico Mogavero, Vescovo