Tony Gentile, si dice che la fotografia spesso racconta più di un testo. Con quale spirito un fotoreporter realizza i suoi servizi?
«Gli ambiti del fotogiornalismo sono molto vari, dal fotogiornalismo di cronaca a quello di approfondimento, toccando diversi generi come la politica, il sociale o lo sport. tutti questi ambiti hanno lo stesso comune denominatore, ovvero cercare di realizzare la foto che verrà usata dal maggior numero di giornali possibile, ovvero la fotografia che riesca ad illustrare in un solo fotogramma tutta la storia che stiamo raccontando. Per realizzare questo il fotoreporter deve conoscere perfettamente la storia, deve concentrarsi su tutti i dettagli e deve cercare di sintetizzare al massimo i contenuti. Detta così sembrerebbe molto semplice, ma in realtà non sempre tutti questi elementi si concretizzano e le storie a volte sono molto difficili da illustrare quindi talora, o spesso, il fotoreporter è in tensione e sta molto concentrato fino a quando non avrà realizzato la foto giusta. Vederla il giorno dopo sulle prime pagine dei giornali è il meritato riconoscimento».
Lei è autore della famosissima foto che ritrae i giudici Falcone e borsellino che sorridono. Il suo scatto ha fatto il giro del mondo. Che effetto le ha fatto vederla pubblicata ovunque, finanche in gigantografie in giro per l’italia?
«Non è comune vedere una fotografia trasformarsi in icona e poi se capita con una tua fotografia diventa tutto più interessante. La fotografia di Falcone e Borsellino è diventata un’icona e un simbolo di legalità, e porta con sé una serie di valori positivi, come l’amicizia, la complicità, la serenità; ma è anche simbolo della rinascita di un popolo e del suo riscatto contro una mentalità mafiosa che ci opprime da troppo tempo. Ma la cosa curiosa è che tutti questi valori positivi contrastano enormemente con quello che c’è dietro ad una fotografia che in realtà è drammatica perché è una fotografia che parla di morte, di 11 persone uccise e del dolore delle loro famiglie. certamente quando la vedo appesa ai balconi dei palazzi di giustizia o dei comuni di tante città italiane mi inorgoglisce, ma resto anche molto amareggiato al pensiero che in moltissimi di questi casi nessuno mi ha informato delle varie iniziative e mi ha chiesto il consenso per farlo e questo è esattamente quello che bisognerebbe fare nel rispetto delle leggi sul diritto d’autore e del lavoro di una persona».
QUI LA SEQUENZA DELL’INCONTRO DEL FOTOGRAFO TONY GENTILE E PAPA FRANCESCO IN VATICANO
Da Palermo a Roma. Oggi lei è un fotografo dell’agenzia Reuters e, spesso, segue anche Papa Francesco nei suoi viaggi. Che rapporto tiene il santo Padre con i giornalisti e con i fotografi?
«Per la Reuters il papa è uno dei soggetti di maggiore interesse. come fotografi lo seguiamo in ogni sua manifestazione pubblica, dalle udienze settimanali ai viaggi internazionali e succede spesso che nella routine di avvenimenti, che a volte sembrano ripetersi sempre uguali, si riesca a trovare una foto diversa che racconti questo personaggio in maniera singolare. come succedeva anche con gli altri papi, anche papa Francesco, sull’aereo, durante i viaggi internazionali si intrattiene a parlare con i giornalisti al seguito e a differenza degli altri alla fine della conferenza stampa saluta personalmente tutti, uno per uno. Questo lo rende unico; la sua semplicità e spontaneità sono spiazzanti. Durante l’ultimo viaggio in Turchia gli ho chiesto una preghiera per un collega gravemente malato e lui immediatamente mi ha chiesto il suo nome e mi ha promesso che avrebbe pregato per lui. È stata una grande emozione».
Lei ha fotografato la sicilia, Palermo e non solo, ai tempi delle stragi e anche dopo. Vivendo ora lontano dalla sua terra d’origine come la vede? C’è ancora speranza di cambiare e di liberarla dalla mafia?
«Io ho iniziato a lavorare a palermo e ho avuto modo di raccontare una città in un momento di grandi cambiamenti e in un periodo in cui vi era in atto un guerra, “la guerra” come la chiamo nel mio libro che sta per uscire. Nel ‘92 la violenza mafiosa dell’ala stragista comandata da totò riina ha seminato paura e sangue, ma ha anche scosso le coscienze della società civile provocando una reazione forte, una ribellione contro la mafia. certamente oggi palermo non è più la stessa, molto è cambiato nella mentalità comune, ma purtroppo non del tutto; forse c’è ancora tanto da fare ma guai a perdere la speranza. probabilmente essa non si libererà mai del tutto, ma grandi passi avanti si possono ancora fare».
Max Firreri per Condividere