Annamaria Sala e la sorella Clara sono titolari della azienda vinicola “Gorghi Tondi” sul territorio di Mazara del Vallo.
Dottoressa Sala, come riesce a combinare l’essere imprenditrice, moglie e mamma?
«In un’azienda di famiglia è complicato riuscire a scindere questi tre ruoli, ed è altrettanto difficile non portarsi il lavoro a casa. Il mio è un lavoro di responsabilità che richiede tempo, che sottraggo ai miei figli anche per trasmettere loro dei valori e un insegnamento, quello del sacrificio, dell’impegno e della passione di portare avanti un’azienda che ha storia, tradizione e, per l’appunto, valori. Lo faccio rendendo partecipe la mia famiglia di questo mio impegno giornaliero, e cercando di ritagliarmi dei momenti privati, da trascorrere in famiglia, che rappresentano una immensa fonte di ricarica, per fare meglio al lavoro e poter portare avanti i progetti futuri. La donna è per sua natura un’equilibrista, sempre impegnata a mantenere lucidità ed equilibrio tra i vari aspetti della propria vita. Se questa inclinazione naturale venisse meno, inevitabilmente l’equilibrio ne risentirebbe e andrebbe a incidere su tutto il resto. Il segreto è dunque mantenere l’armonia tra il ruolo pubblico e la vita privata».
Da dove è nata la passione per la vitivinicoltura e per il mondo del vino?
«Si tratta di una tradizione di famiglia, di un progetto che affonda le radici ai primi del ‘900 che, però, non è mai stata un’eredità imposta. Il territorio in cui abbiamo la fortuna di trovarci rende tutto molto semplice. È facile appassionarsi alle nostre radici, alla bellezza circostante e a un mestiere agricolo che è insito in questi luoghi. E non è da meno la volontà di valorizzare ciò che ci circonda. E poi, mi piace bere il vino. Da produttrice, vi assicuro, che non è poi così scontato. Ho la fortuna di avere un lavoro che, tutti i giorni, mi permette di scoprire e di appassionarmi a tante novità, alla sperimentazione, alle nuove pratiche di vigna e di cantina; di certo non ci si annoia mai. Altro che vita tranquilla di campagna!».
Essere donna in agricoltura: quali pregi e quali difetti?
«Si tratta di un settore tradizionalmente declinato al maschile. Da qualche anno la figura femminile si è inserita gradualmente nel settore, rendendolo meno routinario e standardizzato, meno inquadrato. Questo ha portato a una contaminazione con altri ambiti, legati all’essere femminile, come la ricerca estetica, l’empatia, la comunicazione. Un punto delicato è la credibilità di una donna al comando, specie se pensiamo al passaggio generazionale nelle aziende familiari, che vedono spesso un padre lasciare alle figlie la guida dell’azienda. Le nuove generazioni sono più pronte ad accettare questi passaggi di testimone senza scossoni, senza subire il fascino di un approccio più tradizionale, mentre le generazioni precedenti facevano sicuramente più fatica. La strada da fare è ancora molta per parlare di parità, e mi reputo molto fortunata nel condividere questo percorso con mia sorella Clara. Entrambe siamo il risultato di un approccio diverso al lavoro in agricoltura, grazie all’esempio positivo di nostro padre, che ci ha sempre dato fiducia e ci ha permesso di portare in azienda le nostre idee e peculiarità».
Ha mai pensato di arrendersi e di non fare più impresa in Sicilia?
«Tantissime volte, e continuo a pensarlo. La burocrazia è un freno inimmaginabile alla crescita e alla creatività. Perdiamo più tempo a stare dietro alle scartoffie che a fare altro. Le informazioni ricevute sono parziali o errate, spesso interpretate in modi diametralmente opposti e questo non aiuta a fare bene il proprio lavoro; anzi lo complica inutilmente. Spesso si viene scoraggiati piuttosto che essere incentivati. Un grande limite della Sicilia è la difficoltà a fare sistema per tutelare il settore. Spesso la rete funziona al contrario, chiudendosi a riccio, e lasciando fuori i nuovi arrivati. Bisogna di certo rafforzare gli organi di controllo, renderli efficienti, ma semplificando i processi. Questo porterebbe giovamento a tutti».
Quali sono i progetti futuri per l’azienda che guida?
«Sicuramente la crescita, il riconoscimento dell’azienda a più livelli, in Italia e all’estero. Ma la crescita non è un obiettivo raggiungibile se si cammina da soli. È legata alla conoscenza del territorio e ai diversi attori che lo compongono, alle sinergie che si creano, e che ci piacerebbe rafforzare nella nostra zona tra gli ambiti della cultura, della pesca e dell’agricoltura. Così come un vino non è un semplice prodotto di consumo, ma l’insieme di territorio, clima, sapere dell’uomo e cultura millenaria, anche noi siamo il risultato di queste molteplici interazioni. La condivisione ha sempre risvolti positivi».
Max Firreri