[LO SPECIALE/4] Habemus Papam. L’analisi della Ferlito: «Nelle parole del Papa il valore della comunione»

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Un saluto profondamente significativo quello che Papa Francesco ha rivolto alla Chiesa subito dopo la sua elezione. Un saluto pronunciato “a braccio”, ma che disegna chiaramente il profilo di questo pontificato, sulle tracce della migliore tradizione patristica. Francesco si presenta non come Papa ma come Vescovo di Roma, ossia di una Chiesa che “presiede nella carità tutte le Chiese”. Egli è Papa perché Vescovo di Roma. È una nuova ma antica prospettiva, è l’insegnamento di Ignazio di Antiochia, successore di Pietro, nell’incipit della sua Lettera ai Romani: “Ignazio Teoforo, a colei che ha ricevuto misericordia nella magnificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo suo unico Figlio, la Chiesa amata e illuminata nella volontà di chi ha voluto tutte le cose che esistono, nella fede e nella carità di Gesù Cristo Dio nostro, che presiede nella terra di Roma […] che presiede alla carità, che porta la legge di Cristo e il nome del Padre […] l’augurio migliore e gioia pura”. Non un uomo, dunque, ma una Chiesa ha la responsabilità di tracciare sentieri di fratellanza, unità, testimonianza del Vangelo.

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Francesco riafferma in tal modo il grande valore della collegialità, fortemente sottolineata dal Concilio nella Lumen Gentium: Pietro e gli altri Apostoli costituirono un unico collegio apostolico; alla stessa maniera il Vescovo di Roma, successore di Pietro, e gli altri Vescovi, successori degli Apostoli, vivono nel vincolo dell’unità, della carità e della pace (cfr LG n.22). Ciò conduce a una comune responsabilità, che implica il dialogo, il confronto, l’ascolto reciproco e genera uno scambio di esperienze, non private ma ecclesiali, per le quali la vita di fede di ciascuna Chiesa locale viene consegnata a tutte le altre, arricchendone il patrimonio spirituale e pastorale. In tale logica, Papa Francesco pone in primo piano il fondamentale valore della comunione, che coinvolge tutti i battezzati, da lui chiamati “fratelli e sorelle” e non figli, perché tutti, Vescovo, presbiteri, laici, sono figli dell’unico Padre.

Risuona l’eco delle parole di Agostino d’Ippona nel suo 340° Discorso: “ Nel momento in cui mi dà timore l’essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell’incarico ricevuto, questo della grazia […] e, nella grazia che ci è comune, troviamo riposo dall’affaticarci in questo personale ufficio. Pertanto, se mi compiaccio di essere stato riscattato con voi più del fatto di essere a voi preposto, allora, secondo il comando del Signore, sarò più efficacemente vostro servo. […] Rendete fecondo il nostro ministero: voi siete il campo di Dio”.  “Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi” dice ora Francesco, il Vescovo di Roma, alla sua Chiesa. E poi: “vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la benedizione per il suo Vescovo […] preghiera di voi su di me”.

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Sono parole intense, che si pongono  ancora una volta sulla scia di Agostino: “Come conviene a noi di essere scrupolosamente solleciti a pregare la misericordia di Dio per la vostra salvezza, così è opportuno che anche voi siate intenti a pregare il Signore per noi […] Preghiamo insieme, dilettissimi, perché il mio episcopato giovi a me e a voi”. Nel saluto di Papa Francesco si traccia dunque il vero senso della comunione nella Chiesa, che genera frutti di evangelizzazione, apre spiragli di luce e si fa portatrice di Speranza per “tutti gli uomini e le donne di buona volontà”.

Erina Ferlito

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