Anche nel XXI secolo c’è un dolore che non vorresti vivere, ma non puoi fare nulla per evitarlo; un’avversità che ti rifiuti di immaginare, eppure sopraggiunge ad ostacolare i tuoi piani; una difficoltà o un problema che hai sottovalutato e che ora si manifesta nelle sue reali dimensioni e ti costringe a un percorso più lungo e più faticoso. È il mistero della sofferenza, su cui da sempre l’uomo si interroga e che la pandemia di questi mesi sta riproponendo in tutta la sua irriducibile verità. Il mistero della sofferenza ineliminabile, che non cede al potere della tecnica, che prevale sugli sforzi umani di combattere il male.
Come vivere la sofferenza ineliminabile? Ignorandola e provando a dimenticarla, come se in fondo non ci tocchi? Rimuovendola in qualche angolo del nostro subconscio e contrastandola con soluzioni “compensative”? Nel saggio “La fecondità della sofferenza” del marsalese Nino Sammartano (edizioni Tau, 132 pp., 13 euro), affronta questo tema e propone una prospettiva di riflessione che invita a cogliere, non illusoriamente, potenziali elementi positivi presenti nella sofferenza umana. “Potenziali” vuol dire che si tratta di elementi che vanno individuati attraverso un serio ripensamento dell’esperienza di sofferenza vissuta e quindi sviluppati in percorsi di elaborazione personale.
Alla luce degli insegnamenti evangelici (ma non solo), l’autore si sofferma sulla necessità di una accettazione attiva, non rassegnata, della sofferenza ineliminabile, che rende possibile la sua risignificazione fino ad una vera trasfigurazione, di cui non mancano anche ai nostri giorni preziose testimonianze. Un capitolo particolarmente originale poi, di questo saggio, è costituito dall’ultimo, in cui la capacità di sofferenza viene a configurarsi come una risorsa per la vita familiare, soprattutto per un rapporto genitori-figli sano, funzionale ed educativamente fecondo.
Marco Pappalardo