Può destare sorpresa a chi vive sull’isola di Pantelleria o vi fa ritorno dopo un soggiorno recente, non vedere più adagiato sulla riva, quella davanti il cimitero del centro, nella zona Arenella, il barcone che era naufragato sugli scogli il 13 aprile del 2011. Quel giorno erano morte tre persone tra le quali Leonie, moglie di Camille e madre di cinque figli. I dieci anni trascorsi da tale tragedia chiedono un atto di memoria. In questi giorni, un artista pantesco, Nino Raso, ha realizzato un monumento con il legno del barcone che è stato posto nel giardino di via Venezia attorniato da tre alberi di ulivo.
Alla sua inaugurazione erano presenti Camille e quattro dei suoi figli. Sono arrivati da Genova, dove ora vivono. Quel barcone, come tanti altri, drammaticamente non è riuscito a compiere la sua missione di via di speranza e di futuro e di nuova vita per tutti quelli che trasportava a causa del naufragio, delle onde del mare e degli scogli nella notte. Adesso diventa, grazie all’arte e alla sua mitezza pacifica, memoria, così diversa dalla paura generata, invece, dalla violenza e dalla cattiveria delle guerre e delle carestie e delle ingiustizie sociali. Il legno del barcone grazie all’arte diventa memoria. L’arte è capace di ricordare e di trasmettere il naufragio come domanda di vita, di dignità, di giustizia e come sbarco di umanità tradito e trasformato in un approdo di morte. Quel legno diventa segno per tutti dell’umano che deve approdare e deve trovare ospitalità in ogni cultura e ogni città.
Quel legno diventa memoria di sbarchi di umanità. In una isola come la nostra segnata dalla difficoltà dell’approdo e della fatica ingegneristica della costruzione di un porto, il tema dello sbarco e del molo, acquista ora un significato particolare: la memoria, in quella notte, di una catena umana, di un attracco di braccia e di urla, che non ha esitato, non ha avuto paura a tuffarsi in mare per tirare in salvo, fuori dall’acqua, quelle persone naufragate. Il segno di quella sera di dieci anni fa furono le braccia che si unirono per fare un approdo di salvataggio per gli sbarchi di umanità. Un gesto di popolo inedito e virtuoso. Oggi il segno della memoria è questo monumento di legno che grida al vento di Pantelleria le urla disperate di uomini e donne, di bambini nati e non ancora nati, caduti in mare mentre cercavano una porta alternativa alla condanna e alla morte.
Bisogna guardare quel legno come lo guarderebbe un migrante caduto in mare, che non può più aggrapparvisi, che non può più tendere le sue braccia, e che prima di morire annegando può solo raccogliersi nel suo respiro affannato e dare la sua ultima memoria ai volti, ai paesaggi, ai colori che ha lasciato, sperando di poter trovare una vita migliore. E magari, si augurava, con questo viaggio di poter aiutare i suoi cari. Accostarsi tra gli ulivi per sentire in quel legno di barcone il respiro di chi annega per la speranza. Questa è la memoria, meglio l’anima di quel legno! Fare memoria è il compito dell’anima buona di un popolo, diventato il popolo di quel legno.
don Vito Impellizzeri per Condividere